Articoli con tag: fumetti

Pank!

Conosco Cristiano Rea da più di quarant’anni, ovvero da quando eravamo entrambi assidui frequentatori del mitico Uonna Club per il quale lui creava le locandine delle varie serate; ma faceva anche altro, eh, tipo questa cosa qui. Nei decenni seguenti, le nostre strade si sono incrociate molte volte; ad esempio, quando ha realizzato la copertina del 45 giri di debutto dei Garçon Fatal per la High Rise, o quando impaginò Noi conquisteremo la luna. Ho sempre pensato che, al di là delle sue preziose qualità umane, fosse bravissimo, e trovavo profondamente ingiusto che al di fuori della sua (e mia) Roma, dove nel giro lo conoscono tutti, non godesse della giusta fama. E questo nonostante Zerocalcare, che è notoriamente una stella urbi et orbi, lo avesse citato più volte come uno dei suoi due principali ispiratori (l’altro, Jamie Hewlett).
Così, una mattina mi son svegliato (oh bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao), e gli ho scritto qualcosa tipo “che aspetti a fare un libro che racconti la tua lunga vicenda di disegnatore, fumettista, agitatore, musicista, attivista e quant’altro?”. Non scendo nei dettagli, ma alla fine il libro gliel’ho curato io. Ci abbiamo lavorato per un bel po’, vincendo assortite difficoltà tra le quali – la più importante – che lui, essendo un pessimo archivista di se stesso, aveva conservato solo una piccola parte delle sue innumerevoli creazioni. Alla fine siamo arrivati in porto, come da lui celebrato (seppure con qualche residuo timore) con il disegno qui sotto quando ormai il molo di attracco era stato avvistato. Pank!, 220 pagine delle quali 32 a colori, è uscito con il marchio Goodfellas e si può acquistare in tutte le librerie che lo vorranno avere in stock, sul sito di Goodfellas, da Hellnation e nei vari negozi on line, anche in quelli “major”. Contiene le riproduzioni di disegni, locandine, copertine di dischi e tante altre opere di Cristiano, alcuni scritti utili per contestualizzare il tutto (tra i quali una lunga intervista all’autore) e una splendida prefazione di Zerocalcare che, quando l’abbiamo ricevuta, quasi ci ha fatto piangere dalla commozione.
Delle mille cose alle quali ho messo mano, è senza dubbio una di quelle che mi ha reso più felice.

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Skiantos a fumetti

Sono ormai quarant’anni che gli Skiantos occupano un posto fisso nel mio cuore. Li ho scoperti con il singolo Io sono un autonomo/Karabignere Blues, ho acquistato in tempo reale Mono/Tono (ovviamente “giallo gastrite”), ho ricevuto dalle mani di Oderso Rubini la rarissima cassetta del primo album Inascoltable, li ho applauditi spesso dal vivo – la prémiere al Piper, 30 novembre 1978 – e ho avuto il grande piacere di chiacchierare più volte con Freak Antoni, che quindici anni fa mi permise anche di realizzare questa bella intervista); Freak per la morte del quale ho pianto sincere lacrime, perché pur avendolo conosciuto superficialmente lo sentivo più “amico” di tanti amici veri. Insomma, quando lo stesso Oderso Rubini di cui sopra mi ha invitato all’Esc Atelier per la presentazione della graphic novel L’irraccontabile Freak Antoni, non ho certo accampato scuse e ho risposto, con entusiasmo, “ok, ci vediamo lì”.
La presentazione, alla fine, l’ho persa. Mi sono presentato puntuale alle 17, ma alle 18 e 30 non era ancora cominciata e avevo un altro appuntamento ineludibile. Oltre a ricordare con Oderso i bei tempi andati, ho però conosciuto l’autore del libro, Francesco “Cisco” Sardano, bolognese d’adozione, tra l’altro una delle menti della rivista autogestita “Burp! Deliri grafico intestinali”; il barbuto ragazzone, veramente simpatico, mi ha fatto cortese omaggio del suo lavoro e ciò mi ha motivato ancor di più a leggerlo pressoché subito. Mi è piaciuto molto, dalla bella prefazione de Lo Stato Sociale – che musicalmente parlando mi disgustano oltre ogni umana e disumana immaginazione, ma che tutto sono fuorché stupidi – fino alla postfazione in perfetto stile Skiantos di Andrea “Jimmy Bellafronte” Setti, compreso il refuso nella cronistoria – ma magari, per qualche bizzarra ragione, è lì apposta – che fa nascere Freak nel 1964 invece che un decennio esatto prima. Anche se gli eventi raccontati con parole e bei disegni “caricaturali” (se così si può dire: insomma, il tratto non vuole essere realistico, e il tutto risulta estremamente efficace) sono in ordine, non si tratta di una classica storia: in pratica, si parla solo dei primi passi della band e della prematura scomparsa del nostro eroe, con uno splendido capitolo che ha come coprotagonista un’altra figura-chiave della scena bolognese, Steno dei Nabat. Tutto scorre benissimo, il mood è quello giusto, e se devo tirar fuori un appunto l’unico che mi viene in mente è proprio che avrei gradito “di più”, anche se quasi centocinquanta pagine non sono poche.
L’irraccontabile Freak Antoni è stato pubblicato – a maggio, apprendo; strano che mi sia sfuggito – dalla Becco Giallo e costa 17 euro. Dopodomani è natale, fate un po’ voi.

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Un ricordo di Stan Lee

Se qualcuno mi chiedesse a quale foto sono più affezionato delle tantissime che conservo come testimonianze dei miei incontri con persone più o meno famose, non avrei alcuna esitazione a indicare quella che potete vedere qui sopra. Curiosamente, non mi ritrae con un musicista, bensì con l’uomo – artista, autore, creativo, genio… non saprei proprio come definirlo, con una parola sola – al quale devo una passione che coltivo addirittura da prima di quella per la musica: i supereroi della Marvel. Sono di quelli che nel lontano 1970 acquistò in tempo reale il primo numero de “L’Uomo Ragno” edito dall’Editoriale Corno, senza sapere di cosa si trattasse ma essendo attratto da quel “n.1” che mi faceva ipotizzare una futura collezione, e da allora i personaggi della Casa delle Idee sono una costante della mia vita. Più di tutti ho sempre amato Spider-Man, di cui posseggo tutti gli albi di tutte le collane in edizione americana – eccetto una trentina, ovviamente dei primissimi – fino al 2010, e una raccolta di circa settecento gadget di ogni tipo che però ho smesso di ampliare quando con l’uscita del primo film la cosa divenne troppo dispendiosa.
Da appassionato DOC di vecchia data, quando fui informato che Stan Lee, l’inventore di quasi tutti i characters che mi hanno accompagnato durante l’infanzia, l’adolescenza e la maturità, sarebbe venuto a Roma, quasi ebbi un mancamento. L’occasione era il lancio in Italia del progetto “Marvel 2099” (che purtroppo non fu molto fortunato, ma non conta), e il Sorridente avrebbe rilasciato alcune interviste. Al tempo, fra l’altro, collaboravo stabilmente con la Star Comics, che pubblicava in Italia parte delle collane Marvel, e quindi il rischio di rimanere escluso non era contemplato. L’incontro avvenne all’Hotel Lord Byron di Roma, nel quartiere Parioli, il 17 marzo del 1993. Alla conferenza eravamo in pochissimi e fu facile, alla fine, scambiare due chiacchiere a quattr’occhi, anche se nonostante avessi già trentadue anni ero emozionato come un ragazzino, e credo che la mia espressione nella foto lo faccia percepire. Ricordo una persona gentile, simpatica, piena di entusiasmo. Non mi feci autografare nulla e con il senno di poi non fu una cosa molto intelligente, ma potevo mettermi a rompere le scatole al mio più grande mito chiedendogli di firmare questo e quello? Avevo la foto, che portai subito a sviluppare in un laboratorio, con un’ansia pazzesca che non fosse venuta, o fosse venuta male.
Stasera ho appreso che Stan Lee se n’è andato, per sempre. Non è vuota retorica affermare che sapere che non c’è più e che non potrò più gridare con gioia “eccolo!” scoprendo i suoi camei nei film Marvel. Non ci si può scagliare contro il destino bastardo perché, insomma, novantacinque anni sono un’età ragguardevole e novantacinque anni da Stan Lee sono qualcosa per la quale probabilmente venderei l’anima al diavolo, ma il dolore è lo stesso enorme. Excelsior!, Stan, e grazie di aver contribuito a rendermi quello che per tanti versi sono ancora: un eterno ragazzo, alla faccia di quello che dice l’anagrafe.

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Il mio amico Toffolo

La settimana scorsa, e quindi l’11 marzo (per via della regola, della quale continua a sfuggirmi il senso, in base alla quale i dischi vengono pubblicati solo il venerdì), è uscito “Inumani”, il nuovo album dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Ne ho scritto su “AudioReview” di marzo e chi fosse eventualmente interessato a leggere la recensione potrebbe farlo solo lì, poiché non mi pare che i “ragazzi” l’abbiano condivisa da qualche parte. E dato che qui sul blog ho già recuperato un’intervista storica, quella che diciassette anni fa accompagnò la prima copertina in assoluto dedicata alla band da una rivista, estraggo dal cassetto della memoria una vecchia faccenda che mi è tornata in mente quando, durante una delle mie ricerche in archivio, è saltata fuori questa illustrazione.

Toffolo ok

Faccio una breve premessa: quanto segue è una questione, in pratica, “privata”, e quindi chi continuasse la lettura a dispetto dell’avvertimento non ha il diritto di rompermi le palle con eventuali “che mi frega?”. Ecco allora la storia. All’inizio degli anni zero, Davide Toffolo realizzava per il Mucchio al tempo settimanale – dove ero responsabile di vari spazi – una striscia a sua cura, “Tre Allegri Ragazzi Morti Show”. Non so se fosse una esclusiva, mi sembra di sì, ma non è importante… a contare è che fosse una cosa carina. Fatto sta che, un giorno, arrivò il doppio disegno di cui sopra, “risposta” di Davide a una mia recensione non troppo positiva di un album del suo gruppo. Ci rimasi male e chiesi all’editore di evitare la pubblicazione. Fui accontentato, ma con il senno di poi penso di aver commesso un errore; sì, venivo perculato e per ragioni a mio avviso pretestuose, ma ci poteva stare. Fra l’altro, a breve Davide interruppe la collaborazione. Non so se la striscia incriminata sia poi apparsa altrove o sia invece rimasta inedita, almeno nella sua veste originaria (mi è capitato di vederne una versione differente), ma negli ultimi anni ho incontrato El Tofo un sacco di volte, il rapporto è del tutto cordiale e di questo episodio non mi pare si sia mai parlato. Comunque, ecco, con il recupero del disegno vorrei rimediare alla mia “censura” di una quindicina di anni fa, figlia del prendere a volte troppo sul serio non tanto me stesso – dai, chi fa circolare liberamente una foto come questa è per forza dotato di un certo senso dell’autoironia – quanto tutto quello che gira attorno alla mia professione. È andata così, oggi ci rido sopra. Cosa che sicuramente farà anche Davide, quando e se leggerà queste righe. Bacini e rock’n’roll!

 

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Quando “battezzai” Nathan Never

Sono un grande appassionato di fumetti, da ancor prima di essere un appassionato di musica, anche se sarebbe forse più corretto dire “ero”, dato che da vari anni le mie letture, per questioni di tempo-spazio-soldi, si sono notevolmente ridotte. All’inizio degli anni ’90, invece, ero attentissimo a quello che accadeva nel settore, al punto che avevo anche messo in piedi varie collaborazioni con la Star Comics, la Playpress e la Marvel Italia (che in seguito sarebbe stata acquistata dalla Panini). Nella primavera del 1991, quando si trattò di organizzare un’anteprima esclusiva per il lancio di Nathan Never, la nuova direzione – io avevo lasciato il ruolo alcuni mesi prima – ritenne logico affidarmi l’incarico. Non ricordo chi avesse avuto l’idea, mi pare che tutto rientrasse in una strategia volta a far conoscere il giornale presso un pubblico più ampio di quello dei soli musicofili, e in quel periodo il fumetto stava vivendo un autentico boom. In ogni caso fu una felice intuizione, visto che Nathan Never ha da poco festeggiato il suo ventiquattresimo compleanno ed è in prossimità di raggiungere – lo farà nel maggio prossimo – il trecentesimo albo della serie regolare.
Chiaramente l‘intervista contiene anche un paio di domande che su una rivista rivolta a esperti di fumetti farebbero sorridere, ma per una platea generica andavano benissimo. E, comunque, il risultato ottenuto mi sembra ancora oggi, specie con il senno di poi, non privo di motivi di interesse.

Nathan Never fotoIl domani dietro l’angolo
Le atmosfere di Blade Runner. L’azione di 007. Il design tecnologico dei cartoni animati giapponesi. La fantasia del mondo dei super eroi. Il fascino della fantascienza… E molto altro ancora, in Nathan Never, il nuovo fumetto d’avventura (ovvio!) che la Sergio Bonelli Editore lancerà sul mercato nel prossimo giugno. Il possibile futuro della nostra società nelle mani di una equipe giovane, ma già rodata nell’arte di metter le ali all’immaginazione.

Un fumetto? E un fumetto nuovo e sconosciuto, per di più? Con queste parole, magari sottolíneate da una smorfia di perplessità, alcuni lettori potrebbero commentare il risalto con il quale abbiamo accolto la nascita di Nathan Never. Ma nel caso non ve ne siate mai accorti, c’è fumetto e fumetto; e per l’ultimogenito della grande famiglia Bonelli – l’inossidabile TexZagorMartin Mystere e il già mitico Dylan Dog le testate più prestigiose della casa – i sorrisini di sufficienza di quanti continuano superficialmente a considerare tale forma di espressione artistica un frivolo intrattenimento per giovani e attempati sognatori sono più che mai fuori luogo. Nathan Never, allora. Il frutto dell’estro di tre giovani autori sardi e del coraggio – termine al quale tra qualche anno gli agiografi sostituiranno, si spera, “lungimiranza” – del patron Sergio Bonelli che hanno deciso di affrontare la sfida con un mercato in apparenza tutt’altro che benevolo verso il genere fantascientifico. E chissà che non sia proprio il nostro Nathan Never, come Dylan Dog nel campo dell’horror, a dare il “la” all’esplosione di una tendenza fino a ora relegata in un angolo, ad esclusivo godimento di una ristretta cerchia di fan. Continua a leggere

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