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“Be My Guru”: il bilancio

Come molti di voi dovrebbero sapere, lo scorso 17 marzo è uscito quello che è tuttora il mio ultimo libro, Be My Guru (Crac Edizioni, pp.360, € 20): una raccolta di miei scritti (articoli, recensioni e interviste) in parte precedentemente inediti a proposito della formidabile scena rock australiana e neozelandese degli anni ’80. Oltre otto mesi più tardi, il percorso promozionale può dirsi concluso e allora, come già fatto in altre occasioni, mi sembra sensato ripercorrerne le tappe, anche per ringraziare tutti coloro che mi hanno dato sostegno. Dico la verità: nonostante sapessi che l’argomento è ”di nicchia”, mi aspettavo qualcosa di meglio delle circa trecentoventi copie vendute, ma non mi lamento (semmai, mi interrogo sul senso di realizzare ancora libri, visto come gli introiti sono del tutto ridicoli a fronte dell’impegno affrontato). Presso la casa editrice e i vari negozi fisici e non sono comunque ancora disponibili circa centocinquanta esemplari, e quindi chi finora se lo fosse fatto sfuggire ha l’occasione di rimediare.
La prima recensione, firmata da Stefano Solventi, è uscita proprio il 17 marzo su SentireAscoltare (la si può leggere qui) così come quella di Antonio Bacciocchi sul blog Tony Face (eccola). Sempre Bacciocchi ha firmato la terza, del 22 marzo su Il Manifesto (qui per leggerla), mentre la quarta – di Joyello Triolo – è apparsa su Fardrock (qui) il 28 marzo. È poi toccato alle prime due su carta, su Blow Up (Stefano Isidoro Bianchi) e Rumore (Luca Frazzi), entrambe sui numeri di aprile.

Il 5 aprile ho varato uno speciale di quattro puntate su Radio Elettrica (qui scalette e podcast) e il 15 aprile sono stato ospite di Ludovica Valori su Radio Città Aperta (qui il podcast), mentre su Vinile di aprile e su Classic Rock di maggio sono uscite altre due recensioni, rispettivamente di Alessandro Bottero e di Antonio Bacciocchi.
Il 5 maggio sulla webzine Kathodik è stata pubblicata la recensione di Marco Paolucci (qui), mentre il 12 maggio è uscita su MusicalNews un’intervista fattami da Gianni Della Cioppa (qui). Il 13 maggio ho presentato il libro al Forte! Festival di Civitavecchia e il 3 giugno ho fatto lo stesso, grazie all’Associazione Fitz, nello spazio di Villa Amendola ad Avellino (qui una clip). Il Buscadero ha quindi ospitato, sul numero di giugno, la recensione di Lino Brunetti.
Le ultime due recensioni sono apparse su altrettante fanzine storiche. Su Late For The Sky n.147 (qui il sito) se n’è occupato Marco Tagliabue.
Infine, su Wolvernight n.56, la firma in calce è quella di Michele Anelli, che mi ha anche intervistato (qui si può sfogliare l’intero numero).
In termini di attenzioni, il bilancio è senza dubbio positivo, specie considerando quanto la materia affrontata fosse per pochi (ma buoni, questo lo si può dire). In realtà avevo ricevuto inviti per altre presentazioni, ma per varie ragioni non mi è stato possibile accettarli. Grazie di nuovo a tutti!

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Maurizio Baiata – Rock Memories

A volte leggo libri quando ormai è trascorso troppo tempo dall’uscita per recensirli su una rivista. Meno male che, se voglio comunque scriverne perché è cosa buona e giusta, ho il mio blog…

Saranno gli anni che inesorabilmente passano, con relativo accrescersi del desiderio di lasciare una traccia in qualche modo riassuntiva del proprio passaggio su questa terra, ma tutti noi che abbiamo avuto la fortuna di vivere le epoche auree del rock – fino ai tardi anni ’90, diciamo – ci stiamo dedicando al recupero di parti più o meno ampie dei nostri archivi, alle quali aggiungere ricordi, contestualizzazioni al presente, commenti a posteriori. Da quasi un decennio io lo sto facendo qui su “L’ultima Thule” (per ora: in futuro, si vedrà), ma negli ultimi tempi vari colleghi hanno aperto il baule della memoria per trasferirne un tot di contenuti in un libro, scegliendo le impostazioni più diverse; ci sta, eccome, anche se i soliti poveri di spirito – i frustrati che nella vita non hanno mai fatto nulla di “importante” e godono nel criticare chi qualcosa l’ha fatto – parleranno di autoreferenzialità se non di onanismo.

Alla corposa lista si è ora aggiunto Maurizio Baiata, nome che chiunque seguisse il rock negli anni ’70 non può avere presente, per l’attività come conduttore radiofonico e come giornalista sulla carta stampata: Ciao 2001, Nuovo Sound, Muzak, Gong e Stereoplay alcune delle testate sulle quali è uscito (tanto) materiale a sua firma. L’eterno ragazzo ne ha poi combinate molte altre in campo musicale e non, ma questo suo Rock Memories – Scritti ribelli e sinronicità di un giornalista musicale (Verdechiaro Edizioni, pp.350; € 23,00 www.verdechiaro.com) si concentra su un periodo specifico, quello dal 1970 al 1974, offrendo come “bonus” un’intervista del settembre 1980 a David Bowie: articoli, interviste e rubriche apparsi sul settimanale Ciao 2001, imprescindibile strumento di informazione su rock (e dintorni) dell’epoca. I testi sono stati editati in misura maggiore o minore a seconda dei casi ma sono in sostanza quelli di allora, come è possibile verificare confrontandoli con le riproduzioni delle pagine originali a volte inserite. Con lodevole onestà intellettuale, l’autore ammette le piccole ingenuità formali figlie della giovane età e del momento storico, rivelando pure quali pezzi sono pressoché intonsi e quali sono stati, al contrario, riveduti e corretti. Il lavoro è notevole e di grande interesse, sia perché restituisce un quadro fedele di come fosse in linea di massima la scrittura rock nell’Italia dei Seventies, sia perché sfata la leggenda che Ciao 2001si occupasse solo di mainstream e trascurasse gli artisti poco noti: ok, qui si può ovviamente leggere di stelle come Joe Cocker, Doors, Black Sabbath, Emerson Lake & Palmer, King Crimson, Frank Zappa e Santana, ma anche di High Tide, Amon Düül II, Shawn Phillips, Third Ear Band, Can, Faust, Magma, Tim Buckley o John Cale (roba “da iniziati”, insomma), oltre che di Miles Davis, di Karlheinz Stockhausen, dei Weather Report e di italiani non allineati quali Franco Battiato, Claudio Rocchi o Angelo Branduardi. Maurizio Baiata era uno che non si accontentava del “classico” ma amava andare alla ricerca di vie “alternative” e non a caso di Ciao 2001 era uno dei miei preferiti; qualche pezzo lo ricordavo ma altri non mi erano mai capitati davanti e, devo ammetterlo, un po’ mi sono emozionato ricordando il me dodici/tredicenne per il quale lui – che di anni ne aveva appena una decina di più – era una specie di guru, un santone che dispensava il bene prezioso della conoscenza.

Un bellissimo viaggio in un passato mitico e glorioso del quale si attende la già annunciata seconda tappa. Non vedo l’ora, sul serio.

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Amerigo Verardi (2022)

Ci sono argomenti dei quali non riesco sempre a occuparmi sulle varie riviste con le quali collaboro, ma che possono essere propagandati qui sul blog. Il problema è sempre il tempo, unito alla scarsa voglia perché scrivere prosciuga e già scrivo tantissimo su carta, ma alla fine riesco quasi sempre a trovarlo. Ecco allora due (reative) novità che riguardano Amerigo Verardi, artista che com’è noto a tanti ha un posto speciale nel mio cuore di appassionato.

Risale allo scorso aprile l’uscita di Amerigo Verardi – Il ragazzo magico (Arcana), libro di 320 pagine (prezzo € 22) che racconta la vicenda musicale, e di riflesso umana, di uno dei musicisti più geniali, ma purtroppo non abbastanza riconosciuti, di questo nostro Paese che sembra una scarpa. Lo ha firmato Raffaele M. Petrino, già responsabile di un lavoro analogo dedicato a Cesare Basile, Amore alzati che passa la cummeddia (sempre Arcana, 2020). Realizzato con la collaborazione dello stesso Verardi, il volume è ben scritto e ricco di notizie, retroscena e testimonianze che agevolano la comprensione del mondo artistico dannatamente intrigante creato dal talento brindisino, a partire dagli anni ’80, tra gruppi, attività da solista, produzioni. A prescindere dalle copie che (non) venderà, una “biografia commentata” più che necessaria; esauriente, scorrevole e integrata da un paio di decine di fotografie che, nonostante siano in bianco/nero, fanno per così dire colore.

È invece più recente la pubblicazione della versione in vinile di Walking On The Bridge di quegli Allison Run che di Amerigo Verardi furono la prima band importante. Si tratta di un triplo LP che non riprende esattamente la scaletta dell’omonimo triplo Cd commercializzato nel 2020 dalla Spittle: mancano i brani dal vivo e quasi tutti i demo, ma in compenso ci sono i tre pezzi del 12”EP del gruppo-satellite Betty’s Blues, la cover de La fata di Edoardo Bennato che dell’ensemble fu l’unico (riuscito) esperimento in italiano e un brano precedentemente inedito saltato fuori chissà da dove. Tirato dalla Psych-Out in centocinquanta esemplari numerati a mano, il disco vanta una confezione che è poco definire incredibile, con copertina pesantissima e un inserto illustrato di quaranta pagine 30×30 (testi, foto e tanti disegni psichedelici opera di Daniele Guadalupi): un oggetto splendido, la cui fattura giustifica ampiamente gli 80 euro richiesti (da sottolineare che è il prezzo effettivo di costo, senza alcun guadagno da parte dell’etichetta). Le copie rimaste sono davvero poche e quindi gli interessati farebbero bene ad affrettarsi: http://www.psychoutrecords.com

 

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Michael Pergolani

A volte leggo libri quando ormai è trascorso troppo tempo dall’uscita per recensirli su una rivista. Meno male che, se voglio comunque scriverne perché è cosa buona e giusta, ho il mio blog…

A chiunque ascoltasse musica già negli anni ’70, il nome di Michael Pergolani – giornalista, voce della radio, volto televisivo, attore, varie ed eventuali – può evocare solo bei ricordi: uno su tutti, il mitico servizio dalla Londra dov’era corrispondente, trasmesso da L’altra domenica di Renzo Arbore, che nel 1977 fece scoprire ai giovani italiani il punk. Ne ha combinate tante, il buon Michael, tantissime, forte di uno spirito libero e brillante dal quale è sorretto ancora oggi, a settantasei anni splendidamente portati. Non c’è quindi affatto da stupirsi che abbia voluto raccontarsi con un libro, Nudo, pubblicato a fine 2021 da L’altra città, oltre quattrocentocinquanta pagine che non hanno però nulla a che spartire con le abituali autobiografie in cui l’autore si abbandona, quasi sempre autoincensandosi, alle nostalgie; non sarebbe stata roba da Michael, non scherziamo. Le storie di vita vissuta più o meno pericolosamente ci sono, ma sono esposte in modo nient’affatto canonico: né cronologicamente, né a livello di organicità, né per quanto concerne lo stile di scrittura.
Visionario e spiazzante, crudo così come ricco di slanci che si possono definire poetici, Nudo è un memoir romanzato che attraversa svariati decenni, tra salti temporali, vicende (s)collegate e una prosa assai singolare (specie nell’uso filo-joyceiano della punteggiatura). Un flusso di coscienza nel quale non è facile distinguere la realtà dalla fantasia e dal quale può capitare di essere un po’ confusi, ma non ha importanza: il tutto avvince, anche quando sembra che Michel voglia sfidare il lettore a seguirlo nel suo mondo fatto di immagini allo stato brado, ricordi onirici e traiettorie a-lineari. Com’è scontato che sia visto chi è il protagonista, il sesso, la droga e il rock’n’roll non mancano, ma non sono preponderanti e comunque si inseriscono con naturalezza nel gioco di specchi concavi e convessi della narrazione. Per quanto mi riguarda, un gran bel trip in cui vale la pena di smarrirsi; per poi ritrovarsi.
https://laltracitta.com/product/nudo/

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Mondo Exotica

Nell’ormai lontano anno 2000, Francesco Adinolfi pubblicò per Einaudi un librone sul… mondo dell’Exotica, appunto. Ebbe successo e, cosa assai rara per i volumi sulla musica scritti da un italiano, fu anche tradotto in inglese. Avendo appena appreso che a giugno è stato riproposto da Marsilio in versione riveduta, corretta e ampliata (la copertina qui riprodotta è quella della ristampa), ho recuperato la mia recensione d’epoca; non ho alcun dubbio che sia perfetta anche per la nuova edizione.

Mondo ExoticaFrancesco Adinolfi
Mondo Exotica
Ci sono autori che per confezionare i loro libri hanno bisogno sì e no di una ventina di giorni e altri che non si preoccupano di impiegarci anni, non curandosi del rischio di perdere per sempre eventuali “treni” commerciali né di vedere ciò che in origine era stato magari concepito come un bignamino trasformarsi in un’opera enciclopedica. Alla seconda categoria appartiene il collega Francesco Adinolfi, per il quale questo Mondo Exotica – eloquentemente sottotitolato Suoni, visioni e manie della Generazione Cocktail – ha costituito un sogno/incubo durato addirittura un lustro: un lungo periodo di ricerche, letture, analisi e interviste finalizzato a sviscerare tutti gli aspetti, compresi i più nascosti, di una materia molto più vasta e complessa di quanto si possa ragionevolmente ritenere, nonché ricca di implicazioni storiche, filosofiche e culturali in buona misura insospettabili. E fa davvero effetto realizzare come al saggio vero e proprio – perché di ciò si tratta, e non certo di un agile vademecum – facciano da corredo ben quarantadue pagine di nuda discografia, otto di bibliografia e un indice dei nomi nel quale hanno trovato posto circa 2.800 (!) voci.
Non si accontenta della superficie, Mondo Exotica, scavando a fondo nella musica, nel cinema e nel costume cocktail/lounge più o meno dai ‘50 ad oggi ma non trascurando di indagare ancor più indietro nel tempo a caccia delle imprescindibili radici del fenomeno; il tutto con una impostazione strutturale che presenta qualche eccesso didascalico – peraltro inevitabile, vista la quantità di riferimenti da mettere in ordine – ma che non scade mai nel tedioso grazie ad un linguaggio lineare e scorrevole. E, man mano che le pagine si sommano alle pagine, è scontato che si rimanga impressionati dalla mole di informazioni e dagli intrecci di temi, solo in apparenza privi di contatti, legati assieme in un coerentissimo (e coloratissimo) puzzle.
Ricorda un tomo universitario, Mondo Exotica, anche se per fortuna rifiuta gli snobismi e la boria degli ambienti accademici. Se un giorno l’exotica diventerà materia di studio, magari con lo stesso Adinolfi a sedere in cattedra, gli iscritti al corso non potranno non averlo come testo base.
(da Il Mucchio Selvaggio n.404 del 4 luglio 2000)

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