Il “mio” Ciao 2001

Nella primavera dell’anno scorso, poco prima di ammalarsi e andarsene lasciando un vuoto incolmabile, l’amico Francesco Coniglio mi chiese un pezzo autobiografico su Ciao 2001 da pubblicare in uno speciale estivo che avrebbe dovuto (forse) lanciare una nuova edizione della storica testata. Le cose sono purtroppo andate come sappiamo e il nuovo Ciao 2001 – del quale è appena uscito il secondo numero (o il terzo, se si vuole considerare lo Speciale di cui sopra) – ha appunto preso il via, ma con una linea editoriale in parte diversa da quella in origine pianificata e non proprio compatibile con il taglio di quanto avevo scritto. Piuttosto che tenere l’articolo nel cassetto, ho quindi pensato di proporlo qui, in modo che qualcuno possa leggerlo e sapere qualcosa di più su Ciao 2001 (del quale, in modo meno personalistico, avevo già trattato) e sul mio rapporto con il giornale stesso, con il quale ho anche collaborato.

Anch’io ho scritto per Ciao 2001, benché per poco tempo: in totale, dieci articoli pubblicati tra marzo e maggio 1988, tutti monografici, su artisti inquadrabili nella macroarea allora definita genericamente “nuovo rock” (dagli Stranglers ai Sisters Of Mercy, dai Tuxedomoon ai Jesus & Mary Chain, dagli Housemartins ai Pogues, dai Talking Heads a Buster Poindexter ). A propormi di collaborare era stato Francesco Adinolfi, che conoscevo da quando entrambi frequentavamo il circuito delle radio libere romane nella seconda metà dei ’70, o forse il coordinatore redazionale Gianluca Bassi, con cui mi ero già fugacemente incrociato; dopo essermi dimesso da caporedattore del Mucchio Selvaggio mi ero accasato a Rockerilla, ma rimanevo comunque un free lance e allora perché rifiutare l’offerta? Risposi quindi di sì e mai avrei immaginato che dopo soli tre mesi mi sarei chiamato fuori perché, essendomi inaspettatamente trovato a fondare Velvet, non avrei potuto né voluto tenere il piede in due scarpe.

Essere “uno di Ciao 2001” aveva per me un sapore speciale. Perché si trattava di una testata storica, naturalmente, e perché era la prima rivista di musica che avessi acquistato, diventandone fedelissimo aficionado per parecchi anni. Dal n.43 del 28 ottobre 1973, copertina dedicata a Elton John in occasione dell’uscita di Goodbye Yellow Brick Road, quello con la banda guidata da Saverio Rotondi fu un ineludibile appuntamento settimanale, e chissà perché la molla era scattata proprio con quel numero. Per me, almeno dall’inizio del 1973, Ciao 2001 era stato spesso una lettura “rubata” a casa di amici per saperne di più su qualche artista o su dischi sui quali poteva valer la pena di indirizzarsi, e l’ipotesi di spenderci “addirittura” 200 lire – per un breve periodo, incredibile dictu, il prezzo era però sceso a 150 – non mi aveva neppure sfiorato. Magari aveva influito che in quell’autunno mi fossi iscritto al Liceo, con conseguente cambio di mentalità… di sicuro non c’entrava Elton John, che all’epoca non mi piaceva più di tanto perché a tredici anni non avevo ancora gli strumenti critici per comprenderne la grandezza. Sia come sia, avere regolarmente in casa quelle ottanta pagine portò a una maggiore attenzione per quasi tutti i contenuti: non solo gli approfondimenti sui gruppi più apprezzati, non solo i suggerimenti per gli acquisti, non solo la rubrica dello psicologo con dentro cose che lasciavano di sasso e suscitavano ilarità (tipo la missiva della ragazzina che si era baciata con un coetaneo e temeva di essere incinta), ma anche un’infinità di articoli su personaggi molto più di nicchia dei vari Led Zeppelin, Pink Floyd, Genesis e Rolling Stones, su questioni sociali e politiche delle quali era opportuno essere edotti, su realtà underground che altrimenti mi sarebbero probabilmente rimaste ignote. Una ricca miniera di informazioni su una cultura diversa da quella predicata se non imposta dagli adulti – alternativa, insomma – che attraeva in modo irresistibile. Tale consapevolezza ebbe come effetto collaterale la presa di coscienza delle varie firme apposte in calce agli articoli, “dettaglio” al quale in precedenza non avevo fatto caso; da qui l’identificazione dei giornalisti preferiti e/o reputati più affidabili, che per quanto mi riguarda erano soprattutto Maurizio Baiata, Manuel Insolera, Fiorella Gentile (una rarità: a quei tempi era già difficile incontrare ragazze seriamente interessate alla musica, figuriamoci una che ne scriveva) e Michael Pergolani con le sue corrispondenze da Londra, una delle terre del Mito assieme a Los Angeles e New York.

Una leggenda metropolitana, diffusa certamente da qualcuno che non c’era o che, se c’era, vedeva solo quello che voleva vedere, è che Ciao 2001 fosse una sorta di bollettino per i maniaci del progressive. Leggenda metropolitana, appunto, perché il prog era senza dubbio coperto con estrema cura (era del resto uno dei filoni rock più seguiti nell’Italia rock di mezzo secolo fa), ma non monopolizzava affatto gli spazi. Sfogliati oggi, i numeri dei ’70 pre-punk rivelano infatti un notevole eclettismo di scelte, tanto notevole da confondere le idee a proposito della linea editoriale. Con il senno di poi, sarei orientato a credere che la linea editoriale non esistesse… o, meglio, non privilegiasse uno o più orientamenti stilistici ma semplicemente mirasse a offrire uno spaccato quanto più possibile ampio di ciò che accadeva nel rock (e dintorni) del momento; d’altronde, la periodicità settimanale non consentiva di fare troppo gli schizzinosi, e qualora ci fosse carenza di argomenti forti era logico ricorrere a riempitivi. Essere indulgenti per il disordine, insomma, ci sta, così come ci sta esserlo per gli errori di carattere nozionistico e interpretativo: in quel contesto così diverso dall’attuale, reperire le informazioni giuste o cogliere subito l’importanza in prospettiva delle “next big thing” e dei fenomeni che man mano passavano sotto le luci dei riflettori non era uno scherzo, specie qui alla periferia dell’Impero. Oggi in molti articoli si rinvengono passaggi ridicoli, quando non raccapriccianti, con le loro castronerie e il loro millantare esperienze dirette mai avvenute, ma non importa: pressapochismo e spacconate erano parte di quel mondo innocente/ingenuo che ha reso magica un’adolescenza in cui immaginare e sognare contava più della realtà.

A livello di popolarità, l’egemonia di Ciao 2001 non fu messa più di tanto in discussione dall’uscita di due nuovi mensili dal taglio più analitico e da cultori, prima Muzak (1973) e poi Gong (1974). Entrambi ebbero vita piuttosto travagliata e non granché lunga, ma almeno all’inizio – quando il loro focus era principalmente sulla musica e non sugli aspetti politico-sociali e “controculturali” – mi aprirono nuovi, esaltanti orizzonti; il duplice colpo di fulmine non fu però sufficiente a farmi abbandonare il primo amore, che non smise di regalarmi belle scoperte, unite a perplessità per un ecumenismo che mi sembrava esagerato per quei giorni di divisioni degli appassionati in “tribù”. A suscitare un certo disamore arrivarono, verso la fine del decennio, le infinite vaccate che mi toccava leggere sul punk e la new wave, affrontati con saccente superficialità o, peggio, con un irritante mix di ignoranza e pregiudizio. Divenuto pure io un divulgatore di conoscenza musicale, e avendo fissato come obiettivo proprio la reclamizzazione “a tappeto” delle nuove tendenze, digerivo sempre meno le prese di posizione di quelli che, ai miei occhi di diciottenne e poi ventenne, erano in sostanza vecchi, ottusi scorreggioni. Nella primavera del 1980 maturai così la decisione assai poco sofferta di dire “ciao” al Ciao. La goccia che fece traboccare il vaso furono le recensioni dei concerti tenuti da Slits e Pop Group al Piper di Roma, ai quali avevo ovviamente assistito: Aldo Bagli e Federico Ballanti avevano schifato entrambe le band (e di riflesso chi le apprezzava) con una pretestuosità e un’altezzosità tali da spingermi all’addio. Per un pezzo mi astenni perfino dallo sfogliarlo, il Ciao, ma a distanza di decenni ritengo di essere stato eccessivamente drastico: entrato in possesso in tempi relativamente recenti di quasi tutti i numeri fino al 1984, riconosco che il bilanciamento tra cose valide e cose discutibili era più che accettabile, fermo restando che per i miei gusti l’approccio generale era troppo mainstream e il taglio troppo leggero. Oro colato, comunque, rispetto alla deprimente metamorfosi del triennio 1985-1987, peraltro estremamente vantaggiosa sul piano delle vendite e pertanto degli introiti. Nel 1983, la prematura scomparsa di Rotondi aveva lasciato un vuoto che fu colmato da Francesco Puzzo (cognome che, inutile negarlo, “chiamava” risatine), e il nuovo direttore volle cavalcare l’onda del facile guadagno trasformando la rivista nella principale cassa di risonanza del nuovo pop frivolo di provenienza per lo più britannica. Ogni scusa era buona per dedicare pagine, copertine e poster a Duran Duran, Spandau Ballet, Wham, Boy George, Paul Young, A-Ha, Europe e compagnia più o meno brutta, idoli della platea di massa.

Siamo dunque a quel 1988 in cui il Ciao, diretto da un altro Puzzo (Salvatore: nomen omen), rispolverò la sua storica identità rock “con deviazioni” e mi accolse nel suo organico per i tre mesi di cui ho già riferito. Portavo gli articoli dattiloscritti alla sede di Via Ennio Quirino Visconti, nel quartiere romano Prati, e ricordo lo stupore alla vista di uno stanzone con una mezza dozzina di scrivanie: insomma, un’autentica redazione affollata di colleghi presumibilmente a stipendio fisso, un’anomalia per tutte le riviste musicali con le quali avevo avuto a che fare e che, essendo mensili, avevano bisogno di molta meno forza lavoro. Chiacchieravo soprattutto con Marco Lucchi, che vantava un passato al Mucchio Selvaggio e che presto si sarebbe trasferito in Australia, e con Marco Cestoni, futuro discografico major in BMG, Virgin e Sony; con gli altri, considerata la scarsa durata del rapporto professionale, non ebbi la possibilità di socializzare più di tanto. La Storia dice che Ciao 2001 proseguì la sua avventura fino al 1994, debbo supporre senza clamori perché nella mia cerchia di amici giornalisti non se ne parlava mai, ma con una formula rock filo-mainstream che, giudicando sulla base dei pochi numeri che mi sono arrivati in mano, definirei più che dignitosa. Mi è totalmente ignoto se la chiusura sia stata il naturale, inevitabile epilogo di una graduale decadenza o se a causarla siano stati impicci editoriali: chissà, forse lo apprenderò proprio da questo Speciale. Nessuno può invece sapere cosa sarebbe accaduto se la rivista avesse resistito altri sei anni e fosse quindi giunta a quel 2001 che, nel 1969 della nascita, si associava a un avvenire lontanissimo; sarebbe rimasta “Ciao 2001”, con il futuro alle spalle, o avrebbe cambiato nome, magari non adottando quell’orrido “Ci@o” che nel 2000 contraddistinse l’effimero secondo tentativo di resurrezione con periodicità mensile? Domanda che rientra nel campo dei “What if…?” e che allora non ha senso porsi: meglio rimanere nel concreto, a una vicenda lunga un quarto di secolo e oltre milleduecento numeri che non è stata costantemente luminosa ma che, nel suo momento di maggior fulgore, ha marchiato a fuoco la vita di moltissimi. A cominciare da me, che senza Ciao 2001 avrei di sicuro imboccato altre strade e non avrei avuto fili dei ricordi da riannodare per stendere queste righe. Dato che quell’incontro di cinquant’anni fa ha acceso eventi che mi hanno reso una persona globalmente felice, al Ciao non posso che dire grazie. Duemilaeuno volte grazie.

Categorie: memorie | Tag: | 4 commenti

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4 pensieri su “Il “mio” Ciao 2001

  1. Rusty

    Come sempre belli e stimolanti gli amarcord di Guglielmi. Un pò di senile rimpianto per un’epoca in cui ci si informava con le riviste ce l’ho. Ricordo ancora il primo Mucchio che acquistai: gennaio 1988, ero in via Irnerio a Bologna e stavo andando in facoltà quando in un’edicola fra una moltitudine di giornali scorsi il faccione del compianto Robbie Robertson. La RAI aveva trasmesso a Natale l’Ultimo Valzer di Scorsese, per cui l’acquisto fu immediato. Non rimasi deluso, proprio no.

  2. giorgiopacifici

    Lo leggevo, lo seguivo. Interessante la rubrica sulle lettere allo Psic, seguitissima. Ricordo articolo su Battiato pre/successo con spunto su Stockhausen. Importante anche la Direzione di Beppe Caporale, con un nugolo di giovani bravi come Giampiero Cara. In difficoltà dalla metà degli 80 nelle vendite, il panorama musicale era cambiato e più complesso. Resta nella storia dei periodici settimanali per giovani, senz’altro da ricordare.

  3. RockOnlyRare

    Anche per me, ai tempi non ancora 17ne (si parla di primi mesi del 1971) Ciao 2001 ha rappresentato l’ingresso nella cultura rock aprendo un mondo prima conosciuto solo in piccola parte grazie allo scambio di dischi con i compagni di classe.

    Abbandonato proprio per il Mucchio a cavallo tra fine anni 70 e primi 80, per lo stesso motivo di critiche nei confronti dei nuovi artisti che erano il pane quotidiano del Mucchio. Mi pare che fu un divorzio “netto” ma non ricordo di preciso per quanto tempo presi entrambe le riviste. Conosciuto il Mucchio, tra le due testate c’erano 3 abissi in quel periodo !!!  

  4. MarioCX

    A Savona Ciao 2001 arrivava il giovedì.
    Dal 1978 (avevo 13 anni) al 1982 (17) per i due giorni a seguire mi chiudevo nella mia cameretta assorbito dalla lettura.
    Naturalmente non solo non c’era internet, ma anche nelle librerie non si potevano trovare le centinaia di libri sull’argomento come oggi.
    Qualcosa sui Beatles (tra cui la tesi di laurea di Roberto “freak” Antoni pubblicata dall’editrice “Il Formichiere”), qualcosa sugli Stones, qualche Arcana, la mitica enciclopedia del rock del NME tradotta da Massimo Villa e ben poco d’altro.

    Quindi il Ciao era una preziosa fonte d’informazioni per conoscere meglio gli artisti e le loro discografie.

    Poi dalla primavera del 1982, compiuti i 17 anni, lo abbandonai in favore di più interessanti argomenti biologici.
    La conservazione della specie prese il sopravvento.

    Finita la sbornia, qualche anno dopo provai a ricomprarlo ma, forse era cambiato lui forse ero cambiato io, qualcosa si era spezzato per sempre.

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