Le regole sono regole, ma siamo tutti d’accordo che, in casi speciali, possono ammettere eccezioni, no? E allora… come i frequentatori de “L’ultima Thule” sanno bene, dalla fine del 2017 non ho più ripreso – qui sul blog, intendo – nulla di ciò che ho scritto per le riviste di carta; per rispetto nei confronti degli editori che pagano il mio lavoro e per non contribuire più di quanto già faccia alla logica deviata del regalare alla Rete ciò che è frutto non solo di impegno, ma anche di competenze e professionalità acquisite in decenni. Perché, allora, ho recuperato questa recensione del nuovo album da solista di Amerigo Verardi, “disco del mese” tre mesi fa su AudioReview? Semplicemente perché, dopo quella già splendida in CD-libro delle dimensioni di un 45 giri (ma il costo è di poco superiore a quello di un normale compact), ho avuto tra le mani la versione formato doppio LP, rimanendo a bocca aperta per la ricchezza della confezione; è un oggetto unico, uno dei dischi più belli che mi siano mai entrati in casa, e mi è parso quindi doveroso segnalarne l’esistenza a eventuali cultori, feticisti e appassionati convinti che un album non sia “solo” musica (musica che comunque, nel caso specifico, è di qualità straordinaria). Questa meraviglia in vinile, tiratura di 275 copie numerate a mano, presso il sito dell’etichetta (www.psychoutrecords.com) costa 50 euro più spese di spedizione: la cifra può sembrare alta ma che non lo è in rapporto all’opera e alle spese sostenute per realizzarla, e l’auspicabile vendita di tutti gli esemplari basterà solo a coprirle, senza alcun guadagno.
Un sogno di Maila (The Prisoner, CD / Psych-Out, 2LP)
Nel pantheon degli eroi di culto del rock italiano va senza dubbio riservato un posto al brindisino Amerigo Verardi, che per trentacinque anni è stato via via il fulcro di progetti di grande interesse come gli Allison Run negli anni ’80, i Lula nei ’90 e i Lotus nel decennio successivo, più alcune avventure estemporanee, svariati impegni come produttore e un’attività solistica che alla fine del 2016 ha avuto la sua consacrazione con il monumentale Hippie Dixit. Esperienze tra loro differenti, ovvio, ma quasi tutte legate da un filo conduttore: l’attaccamento a forme espressive inquadrabili nell’ampio universo psichedelico, con la psichedelia intesa non come canone – ammesso che si possa individuarne uno, uno preciso – ma come libera attitudine musicale volta a evocare suggestioni ed emozioni altrettanto affrancate dalle regole. A contare non è lo stile bensì l’intenzione, e sotto questo profilo Verardi non ha problemi: deve soltanto assecondare la sua natura, anche se nel processo creativo intervengono poi le riflessioni in termini di accorgimenti, di ceselli, di sfumature. Un discorso che vale forse ancor più per un album così, che è stato realizzato in regime di autarchia: da bravo artigiano, il Nostro ha fatto quasi tutto da solo, destreggiandosi tra strumenti elettrici e acustici usuali e non (sitar, flauto, xilofono), pennellate elettroniche e registrazioni sul campo, oltre a cantare e produrre. Al di là della loro sostanza, i pochissimi contributi esterni sono nulla più che “di colore”.
Concept di non agevole decodifica, in perenne oscillazione tra autobiografia e fiction nel raccontare in chiave onirica un percorso esistenziale/spirituale, Un sogno di Maila si sviluppa in un unico flusso – nel CD c’è una sola traccia di settantasette minuti, nelle quattro facciate della stampa in vinile gli episodi non sono separati – nel quale rock, pop, folk, world, e quant’altro non sono elementi semplicemente accostati ma un insieme organico; le quattordici canzoni più o meno (lucidamente) stralunate e i sei brevi interludi che compongono la scaletta scorrono fluidi, forti di intriganti melodie e brillanti testi che, agevolati dalla voce “pigra” ma carismatica, arricchiscono il tutto di magia visionaria. Sebbene non manchino certo brani ritmicamente più incisivi e comunque accattivanti come Gioco con i maschi, gioco con le femmine, Aiuto!, Droghe per il popolino,Everest o l’esoticheggiante La mia amica Stefania, la maggior parte del programma si muove in territori più avvolgenti, morbidi, “sospesi”; il singolo apripista Due foglie, del quale è stato diffuso anche un bel videoclip, sintetizza al meglio la vena – “serenamente malinconica”, si potrebbe dire – che domina il lavoro. Un lavoro in cui la godibilità marcia di pari passo con una ricerca a 360° affine a quella portata avanti dal compianto Claudio Rocchi, non a caso nominato espressamente in un pezzo e indicato nel comunicato-stampa come uno dei riferimenti assieme a Syd Barrett, Julian Cope, Franco Battiato, Kevin Ayers, i Beatles più sperimentali, i Beach Boys di Pet Sounds, i Pink Floyd di Ummagumma. In estrema sintesi, una stimolante, poliedrica fantasmagoria dalla quale è arduo non essere affascinati, già a partire dal libretto pittorico; alla pari del suo magari più ostico predecessore, un autentico magnum opus, che ribadisce senza margini di equivoco il talento assoluto del suo enigmatico demiurgo.
(da AudioReview n.428 del febbraio 2021)
Grazie, mi hai incuriosito e ho appena acquistato il CD; il vinile, purtroppo, non c’è più. Comunque, il riferimento al sito dell’etichetta non è corretto; quello indicato punta a un vecchio sito sulla psichedelia (che conoscevo!).
Il link giusto è:
https://theprisonerrecords.bigcartel.com/
Ciao,
Enrico