Stan Ridgway (2010)

Ridgway fotoOgni tanto accadono cose belle, e magari tanto inattese da risultare persino spiazzanti. Ad esempio, è notizia di oggi del Premio Tenco 2016 conferito a Stan Ridgway, che gli sarà consegnato durante la quarantesima edizione della “Rassegna della canzone d’autore”, in programma dal 20 al 22 ottobre al Teatro Ariston di Sanremo (gli altri due premiati sono Otello Profazio e Sergio Staino). Pur coltivando rapporti antichi e saldi con il Club Tenco e in particolare con il suo Comandante Enrico De Angelis, non ne sapevo nulla, né mai avrei immaginato una simile scelta, visto che Ridgway è da un bel po’ una figura molto più di nicchia di quanto non fosse negli anni ’80; però, ecco, i riconoscimenti servono anche per accendere qualche riflettore su artisti meritevoli a prescindere da ciò che raccolgono a livello commerciale… e, allora, non posso che applaudire la decisione del Club, che mi ha oltretutto concesso l’onore di essere l’addetto alla consegna del Premio al songwriter, cantante, musicista e scrittore californiano.
Mi imbattei per la prima volta in Stan nel 1980, comprando (al Disco d’Oro di Bologna, lo ricordo bene) l’omonimo mini-LP di debutto dei suoi Wall Of Voodoo, e da quel giorno non l’ho mai abbandonato. L’ho incontrato varie volte (ma, molto curiosamente, mai intervistato), ne ho scritto spessissimo, sono stato il primo in Italia a concedergli una copertina (Velvet n.8, del maggio 1989), ho persino allegato un suo bellissimo CD dal vivo a un numero del Mucchio Extra, il suo esordio da solista The Big Heat (del 1986) è uno dei dieci album della mia vita, e recensendolo in tempo reale scrissi pure che al mio funerale (laico, a scanso di equivoci) avrei voluto che fosse suonata la sua Camouflage (e lo confermo: prima quel brano, poi un concerto de Il Muro del Canto). Devo continuare? Direi che non c’è bisogno. Ma aggiungere una recensione – per essere precisi, di quello che a tutt’oggi è ancora l’ultimo album propriamente detto del Nostro, Neon Mirage del 2010 – mi sembra come minimo doveroso.

Ridgway copNeon Mirage (A 440)
Magari ci avranno fatto caso in pochi, ma in questo 2010 Stan Ridgway ha raggiunto il traguardo del trentennale di attività discografica “da titolare”: prima con i Wall Of Voodoo dei quali era coautore e frontman, che esordirono appunto nel 1980 con un omonimo mini-LP recensito entusiasticamente anche sulle nostre pagine, e a partire da metà ‘80 con una notevole carriera solistica. Carriera che purtroppo, dopo la fase major conclusasi nel 1991, non ha goduto della visibilità che avrebbe strameritato, e che con questo Neon Mirage è arrivata – non contando i progetti paralleli, le antologie di vario genere, le colonne sonore e i CD homemade privi di reale distribuzione – appena al settimo album. Il precedente Snakebite risaliva ormai al 2004 e, sì, lo si può affermare senza falsi pudori: Stan ci è mancato. Ci piacerebbe davvero che fosse più presente, invece di tante mezze calzette che non fanno passare anno senza consegnare alle stampe un (inutile) nuovo lavoro… ma lui è uno di quegli artisti rari e preziosi che “parla” solo quando sente di avere qualcosa di vero e bello da trasmettere. Prendere o lasciare.
Per quanto riguarda Neon Mirage, non ci vuol molto a convincersi di avere a che fare con un’opera di pregio, dove l’oggi cinquantaseienne americano ha leggermente inclinato il proprio asse stilistico verso sonorità più tradizionali, figlie di quel country-folk (con, se occorre, un po’ di blues) in cui da sempre attinge (Call Of The West dei Wall Of Voodoo e l’epica Camouflage di The Big Heat due degli esempi più eclatanti). Per rendersi conto del cambiamento basta paragonare la morbida e crepuscolare Big Green Tree in apertura con la Underneath The Big Tree contenuta in Black Diamond (1995) della quale è il remake: lì l’arrangiamento è più moderno, in linea con l’immagine da cowboy urbano sulla quale Ridgway ha costruito il suo piccolo mito, mentre qui – complice la produzione, solo nel brano in oggetto, di Dave Alvin, uno che di queste cose se ne intende sul serio – gli accenti roots sono più marcati. Ed è proprio la maggior vicinanza alle “radici” rispetto agli standard del Nostro il leitmotiv di Neon Mirage, disco che non rinuncia all’uso dell’elettronica – tastiere, ritmiche, qualche trattamento – ma che presenta una brillante ricchezza di strumenti quali chitarra slide, violino, viola, violoncello, mandolino o dobro, oltre a una bella serie di fiati più o meno atipici affidati a quel geniaccio di Ralph Carney. Al di là delle pur rilevanti questioni formali, il fulcro dell’album è naturalmente nell’inconfondibile voce dai toni “metallici” e tendente al crooning di Stan nonché nella sua consumata abilità di storyteller, espressa anche in testi (in rima) dotati di spessore poetico-letterario non comune e di uno splendido respiro “cinematografico”. E vale ancora una volta la pena di guardarli e riguardarli, i mini-film musicali di Stan Ridgway: qui sono una dozzina, per lo più quieti e malinconici e solo occasionalmente accesi di vivacità “rock” (ma Turn A Blind Eye e Flag Up On A Pole, i due più incalzanti del lotto, sono straordinari), compresa una title track non cantata e una cover di Lenny Bruce di Bob Dylan. Un’altra rilettura del vecchio Zimmie, As I Went Out One Morning, era in Black Diamond, e qualcosa – forse – vorrà dire. Ah, e poi questo è il primo CD di Stan a vantare una bella confezione digipak: di sicuro non vuol dir nulla ma c’è disponibile ancora una riga e dunque perché non scriverlo?
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.676 del novembre 2010

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7 pensieri su “Stan Ridgway (2010)

  1. Demis

    Ciao Federico ma è uscito un nuovo disco di Stan? tipo ad ottobre 2016? grazie mille

  2. L’unico peccato è che non riuscirò a vederlo..D’accordo con Saverio su “A mission in life”; ho un ricordo fantastico di questa canzone suonata al termine di un concerto (Piper di Roma se non ricordo male) fantastico.
    Artista straordinario.

  3. guttolo

    In realtà nel 2012 è uscito ancora “Mr. Trouble”

  4. Gian Luigi Bona

    Ottima notizia Federico! Stan Ridgway è un grande autore, di quelli che ascoltiamo noi e magari finisce che la loro arte e il valore non viene mai riconosciuta mentre certi artisti vengono adorati. “The Big Heat” l’ho consumato e ricomprato due volte e durante il servizio militare Camouflage era diventato qualcosa di più di una bellissima canzone perché ero in una di quelle caserme operative del Friuli…
    Come canzone del funerale sono indeciso tra I Can’t Help Falling In Love di Elvis o “Heroes” di David ma insomma… anche Camouflage è un ottima idea !

    • Saverio P.

      Suggerisco “A Mission in Life” da Mosquitos . Per me la migliore del grande Stanard

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