discografie base

Rock (in) italiano (2001-2010)

Dopo aver pubblicato la mia lista dei 100 album del rock (in) italiano 1955-2000, in tanti mi hanno scritto per chiedermi “E le cose più recenti?”. Ecco quindi un’altra lista nuda e cruda, sempre apparsa su Extra (nel n.37, per la precisione) dei cinquanta album del decennio seguente, che compilai con l’assistenza di Elena Raugei; una terza non esiste e al momento non so se esisterà mai, per cui è inutile che me la domandiate… al massimo vi accontenterete di quella del rock italiano ma non cantato in italiano, dagli albori al 2010, che più avanti proporrò. L’elenco dei titoli, divisi in “primi dieci”, “altri quindici” e “ultimi venticinque” è in fondo al post, a seguire le istruzioni per l’uso e l’introduzione che mi piacerebbe leggeste prima di inviarmi qualsiasi commento “inappropriato”.

Istruzioni per l’uso
Come al solito, anche per tentare di scongiurare il rischio delle mille proteste che comunque giungeranno, occorre spiegare i criteri che hanno guidato la selezione di questi cinquanta album in un panorama di uscite papabili che ne comprendeva svariate migliaia. Innanzitutto, si è deciso di rappresentare ogni band o solista con un solo disco, allo scopo di salvaguardare l’esigenza di documentare nel modo più ampio possibile la quantità e la diversità delle “voci”: non è stato facile, soprattutto per alcuni nomi, ma crediamo che alla fine il titolo scelto sia il più idoneo a cogliere il valore e la specificità degli artisti. Artisti che, meglio chiarirlo, hanno tutti avviato la loro attività discografica dagli anni ‘80 in poi (con Nada come unica giustificatissima eccezione); sarà forse arbitrario e pretestuoso, ma abbiamo ritenuto più sensato puntare gli spot su qualche giovane in più invece di concedere spazio a “veterani” – Fossati, Battiato o De Gregori, per limitarsi ai più illustri – anche se magari hanno confezionato prove all’altezza della loro fama. E ai lettori fedeli che, a questo punto, si staranno domandando quanto l’elenco dei “cento“ di rock (in) italiano degli anni ‘60-‘90 edito nel giurassico n.8 abbia influito la cernita di questi “cinquanta”, forniamo una risposta secca e incontrovertibile: nemmeno un po’. Se nelle pagine seguenti troverete Afterhours, Carmen Consoli, Massimo Volume o Vinicio Capossela – i nomi in comune fra le due liste non arrivano a dieci – è perché sono stati determinanti nel periodo compreso fra il 2001 e il 2010; poco ha pesato, per rimanere agli esempi di cui sopra, il glorioso passato di quei ‘90 che li hanno visti salire alla ribalta, e molto il fatto che si siano evoluti, se non addirittura reinventati, con esiti quasi (?) altrettanto efficaci. Continua a leggere

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Rock (in) italiano (1955-2000)

Per il n.8 del mio “Mucchio Extra”, pubblicato alla fine del 2002, curai una delle nostre famose liste di album fondamentali dedicata al rock cantato in italiano dagli albori al 2000. Stilai un elenco di massima, lo sottoposi per commenti e consigli a vari membri dello staff (per la cronaca: Fabio Massimo Arati, Alessandro Besselva Averame, Luca Bonavia, Carlo Bordone, Eddy Cilìa, Aurelio Pasini, Elena Raugei e John Vignola) e quindi presi le mie decisioni, organizzando quello definitivo; scrissi infine parte delle schede di approfondimento e assegnai le altre ai membri dello staff di cui sopra. Sedici anni dopo non mi trovo proprio totalmente d’accordo con il me stesso di allora, ma va sempre così e comunque la lista mi sembra ancora, nel complesso, valida. La ripropongo allora nuda e cruda, senza le schede (i link sono ad altri miei post sull’argomento), invitandovi però, nel caso vogliate esprimere pareri, a leggere le “istruzioni per l’uso” e l’introduzione… anche se so bene che lo farete in pochi, perché la frenesia di dire la propria, ancor più se si tratta di criticare, azzera il buon senso di cercare prima di capire le ragioni altrui.
Istruzioni per l’uso
Come in casi analoghi, eccoci a enunciare, precisare e ribadire in modo schematico le regole di questo (serissimo) gioco che abbiamo voluto intraprendere, con l’obiettivo di fornire un valido strumento – una specie di bussola, insomma – a quanti volessero affrontare i flutti impetuosi del rock (in) italiano per poi rientrare in porto con 100 album che consideriamo, come da titolo, fondamentali: il che, come già detto, non significa necessariamente “i più belli” ma “i più significativi” nell’ottica della rappresentatività che dovrebbe ormai essere ben chiara. Rock, quindi, in senso molto lato, con finestre socchiuse o spalancate su generi a esso limitrofi (dal cantautorato, imprescindibile nel contesto italiano, al pop di spessore fino al folk e al rap; niente jazz, invece, né avanguardie troppo svincolate dalla forma canzone, pop becero, musiche tradizionali), con un solo elemento in comune: i testi in italiano, o al limite in dialetto, se non al 100% almeno in schiacciante maggioranza. Continua a leggere

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Cinque miei culti (3)

Terza puntata – le prime due qui e qui – di una sorta di speciale dedicato alle schede da me scritte per un elenco di album “di culto” apparso su un Mucchio Extra di tredici anni fa. Prossimamente la quarta e ultima.

Alexander copWillie Alexander
And The Boom Boom Band
(MCA ,1978)
Tra gli animatori della scena “punk” bostoniana del 1976, quella fiorita attorno al mitico Rat Club, c’era anche lui, Willie “Loco” Alexander. Non era però un giovincello: all’epoca di anni ne aveva trentatrè, aveva già inciso nei ‘60 con Lost e Bagatelle e nei primi ‘70 si era anche legato all’ultimo organico dei Velvet Underground, quello sfigatissimo che della band passata alla storia aveva solo il nome. Con la sfortuna, ma non per scelta, il nostro eroe manterrà poi rapporti assai stretti, anche quando un insperato contratto major gli offrirà l’occasione giusta: nonostante la freschezza e l’ispirazione del suo rock venato di rhythm’n’blues, né questo omonimo esordio né il di pochi mesi successivo Meanwhile Back In The States si faranno notare più di tanto, condannando Alexander a una carriera ai margini del mercato che conta. I pochi che si ricordanno di lui lo fanno essenzialmente per un brano, Kerouac, dedicato indovinate voi a chi: una ballata visionaria di enorme evocatività, qui anche meno bella al confronto della versione originale uscita tre anni prima su 45 giri, ma sempre straordinariamente intensa. Continua a leggere

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Cinque miei culti (2)

Poco più di tre settimane fa ho qui riproposto cinque titoli di una selezione di schede da me realizzate per un elenco di album “di culto” apparso su un Mucchio Extra di tredici anni fa. Eccone ora altri cinque, ma nel prossimo futuro altri cinque ne seguiranno.

Chrome copCHROME
Alien Soundtracks
(Siren, 1978)
Nell’estate del 1995 Damon Edge, che dei Chrome era fondatore, cantante, polistrumentista e leader, fu trovato morto nella sua casa di L.A.: non doveva essere un bello spettacolo, visto che nessuno si era preoccupato della sua scomparsa e il corpo era lì da circa un mese. Una fine dolorosa e ingloriosa per un musicista da sempre impegnato a coniugare rock ed elettronica, ottenendo risultati di rilievo per definire i quali non è sbagliato utilizzare la definizione “seminali”. Secondo capitolo di una carriera prolifica seppur qualitativamente discontinua, Alien Soundtracks è il primo atto del sodalizio tra Edge e l’altro polistrumentista Helios Creed, che resterà con lui fino ai primi anni ‘80 e dopo la sua scomparsa rileverà la sigla della band di San Francisco: uno straordinario concept a sfondo fantascientifico nel quale avanguardia e psichedelia convivono felicemente in un tripudio di fantasie melodiche e dissonanze e di trame strumentali all’insegna dell’anticonvenzionalità. Con la folle, abrasiva Slip It To The Android a fungere da manifesto di una formula totalmente libera e la copertina sottilmente inquietante a gettare ulteriore benzina sul fuoco. Continua a leggere

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Cinque miei culti (1)

Ere geologiche fa, nel 2002, organizzai per il Mucchio Extra uno degli ormai celebri articoli a schede dedicati ad album fondamentali o comunque meritevoli. Il fil rouge non era uno stile musicale o un’epoca specifica, ma l’appartenenza dei titoli alla categoria “dischi di culto”; quelli, per capirci meglio, che non hanno inciso sulle vicende del rock ma che, per un motivo o per l’altro, capita di amare e venerare come si fa con tante pietre miliari. Parecchie di quelle schede le scrissi io, e mi fa piacere presentarle qui. A piccoli blocchi e in ordine casuale.

Alley Cats copALLEY CATS
Nightmare City
(Time Coast, 1981)
Sfortunati, i californiani Alley Cats: in un momento storico-musicale nel quale era indispensabile scegliere da che parte stare, rimasero a metà strada tra punk e rock tradizionale. Dovendo scegliere uno dei loro due album (ma ne esiste anche un terzo a nome Zarkons), i pareri non sono concordi: c’è chi predilige Escape From The Planet Earth (MCA 1982), più elaborato seppur con qualche passo falso, e chi assegna la sua preferenza a Nightmare City, più secco e robusto oltre che più in linea con la vera natura del terzetto di Los Angeles. Continua a leggere

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