Oltre le stelle (14)

Nel 2000, quando Il Mucchio Selvaggio era settimanale (la fase durò dall’ottobre 1996 al dicembre 2004), Gianluca Testani varò una simpatica rubrica che occupava due pagine in ogni numero. Si chiamava, appunto, “Oltre le stelle” ed era una sorta di appendice de “Le stelle del Mucchio”, la tabella nella quale i componenti dello staff della rivista assegnavano da sempre il loro “voto” – dalle cinque stelle di “imperdibile” alle due palle di “inascoltabile”, con in mezzo “formidabile”, “adorabile”, “apprezzabile”, “ascoltabile” e “prescindibile” – ad alcune decine di album di uscita recente. L’idea di Gianluca era semplice ed efficace: lui sceglieva uno di questi dischi, uno dei più importanti, e cinque o sei di noi altri dovevano commentarlo in circa mille caratteri, privilegiando i toni discorsivi ed evitando quelli da recensione. Insomma, più che il “critico” scriveva l’appassionato, a ruota libera e in prima persona.
Consapevole che con il senno di poi spesso non mi trovo più d’accordo con me, anche per colpa di ascolti non sempre approfonditi e dello spirito ludico della rubrica, in questo spazio riproporrò via via tutti i miei “Oltre le stelle”, in ordine cronologico, cinque per volta.
FUGAZI
The Argument
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Da sempre i Fugazi sono sinonimo di serietà, incorruttibilità e spirito antagonista. E, naturalmente, di ottimo alternative rock, come sottolineato da una discografia ricca di titoli splendidi. Che alla band di Ian MacKaye sia in ogni caso dovuto il massimo rispetto non basterebbe certo a farne automaticamente apprezzare ogni prova: il bello, però, è che il quartetto di Washington D.C. non offre praticamente mai il fianco alle critiche, portando avanti un discorso dove un’encomiabile coerenza concettuale si lega a una lenta ma costante evoluzione stilistica. The Argument è il solito, grande disco dei Fugazi, in qualche modo figlio del disagio e della voglia di reagire in modo costruttivo: elaborando, cioé, ardite sequenze di suoni ruvidi e nervosi, peraltro non privi – qui più che in altre circostanze – di efficacissime intuizioni melodiche. Ascoltate un brano come Epic Problem, che non mi faccio scrupolo di definire geniale, e provate a darmi torto. Fugazi: basta la parola.
(da Il Mucchio n.476 del 5 marzo 2002

GORKY’S ZYGOTIC MYNCI
How I Long To Feel That Summer In My Heart
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Se mai tornassi a condurre una trasmissione radiofonica, sarebbe molto difficile trovare in una mia scaletta un brano dei Gorky’s Zygotic Mynci. Perché? Semplicemente perché hanno un nome strampalato, di quelli che non riesco mai a pronunciare in modo corretto. E pensare che un amico gallese mi avrà detto almeno dieci volte “si dice … … …”, e io un secondo dopo me lo sono già dimenticato. A parte ciò, trovo i Gorky’s un gruppo carino o poco più: per capirci, nella graduatoria dei famosi “dischi da isola deserta” How I Long To Feel That Summer In My Heart sarebbe preceduto da alcune migliaia di titoli. Sono comunque di sicuro bravi e a loro modo anche coraggiosi, ma il loro elaborato folk-pop dai più o meno vaghi accenti psych non mi prende più di tanto, e sulla lunga distanza dell’album mi appalla pure un po’; un pezzo come These Winds Are in My Heart, però, potrei ascoltarlo in loop per ventiquattr’ore senza accusare il minimo senso di tedio.
(da Il Mucchio n.477 del 12 marzo 2002)

STARSAILOR
Love Is Here
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Sono ormai venticinque anni – insomma, da quando seguo non solo il rock emerso ma anche quello emergente – che mi confronto con il problema delle promesse non mantenute: artisti, cioè, che dopo uno o due album hanno rivelato una consistenza inferiore, e spesso drammaticamente inferiore, a quella ipotizzata. Colpa di naturali crolli di ispirazione, dei deliri di onnipotenza o della ricerca ossessiva dell’hit? Dipende. È comunque chiaro che scommettere sul futuro di chicchessia diventa sempre più difficile, e di ciò risente il mio rapporto ancora non ben definito con gli Starsailor: penso che siano, alla pari dei Muse, il miglior giovane gruppo pop-rock britannico degli ultimi due/tre anni e vorrei credere che sapranno offrire a lungo emozioni, ma al contempo vedo che Love Is Here non è quel capolavoro assoluto in cui i precedenti singoli mi avevano fatto sperare. Sì, forse sto cominciando a esagerare con il cinismo tipico di chi ne ha subite troppe. Però, per il momento, mi tengo in tasca la quarta stella.
(da Il Mucchio n.478 del 19 marzo 2002)

APHEX TWIN
Drukqs
* *
Chi mi conosce lo sa, oppure almeno lo immagina: è difficile che le orecchie dei miei vicini di casa siano deliziate da Aphex Twin. Nulla da eccepire sul personaggio né sulla sua capacità di inventare nuovi scenari musicali, sia chiaro, ma per quanto mi riguarda le creazioni di Richard D. James mi trasmettono in linea di massima buone sensazioni a livello cerebrale-intellettuale e poche emozioni; posso anzi affermare, senza curarmi di eventuali sfottò, che l’unica volta in cui Aphex Twin mi ha davvero esaltato è stato con il singolo Windowlicker, ma più per la copertina e il videoclip – se non li avete mai visti, dovete rimediare – che per la musica. Drukqs, comunque, mi sembra uno degli articoli migliori del catalogo, a dispetto della sua schizofrenia stilistica e dei suoi per me indigeribili eccessi di sperimentalismi sterili e autocompiacenti. Ai primi ascolti, in ogni caso, mi aveva colpito di più, mentre ora l’assenza dell’elemento sorpresa mi ha indotto a sottrargli una stellina.
(da Il Mucchio n.479 del 26 marzo 2002)

RYAN ADAMS
Gold
*
Se mai un giorno dovesse capitarmi di parlare con l’autore di Gold, di sicuro gli domanderei perché, per la sua carriera solistica, non si è cercato uno pseudonimo: a meno che non si voglia deliberatamente giocare sull’equivoco, chiamarsi Ryan Adams in un mondo rock nel quale esiste un Bryan Adams dominatore di classifiche mi sembra infatti una cazzata, come da noi lo sarebbe presentarsi come Lara Pausini. Facezie a parte, questo secondo album dello strombazzatassimo Ryan non mi è parso granché: non una puttanata finto-rock come quelli del quasi-omonimo, ma dell’ennesimo songwriter a metà tra il roots e il suono da FM, non sentivo sinceramente la mancanza. È bravo e ispirato, Ryan, e possiede anche una bella voce, ma… insomma, mi entra in un orecchio e mi esce dall’altro. Lo dovessi intervistare, credetemi, la mia unica curiosità sincera riguarderebbe la storia dello pseudonimo.
(da Il Mucchio n.480 del 2 aprile 2002)

In “Oltre le stelle” 1: Belle And Sebastian, Sinéad O’Connor, Pearl Jam, Jay-Jay Johanson, Deftones.
In “Oltre le stelle” 2: Giovanni Lindo Ferretti, Coldplay, Giant Sand, Badly Drawn Boy, Blonde Redhead.
In “Oltre le stelle” 3: Black Heart Procession, Radiohead, Mojave 3, Rancid, Go-Betweens.
In “Oltre le stelle” 4: U2, Marlene Kuntz, Amen, PJ Harvey, Gentle Waves.
In “Oltre le stelle” 5: Menlo Park, Lambchop, Fatboy Slim, Johnny Cash, Aluminum Group.
In “Oltre le stelle” 6: Godspeed You Black Emperor!, Songs: Ohia, Cousteau, Geoff Farina, Kings Of Convenience.
In “Oltre le stelle” 7: Magnetic Fields, Stephen Malkmus, Steve Wynn, Tortoise, Arab Strap.
In “Oltre le stelle” 8: Orb, Bonnie “Prince” Billy, Tom McRae, John Frusciante, Daft Punk.
In “Oltre le stelle” 9: Nick Cave, Manic Street Preachers, R.E.M., Mogwai, Mark Eitzel.
In “Oltre le stelle” 10: Lift To Experience, Black Crowes, Tindersticks, Radiohead, Manu Chao.
In “Oltre le stelle” 11: Tool, Sparklehorse, Mark Lanegan, Muse, Travis.
In “Oltre le stelle” 12: Tricky, Mercury Rev, Thalia Zedek, Björk, Bob Dylan.
In “Oltre le stelle” 13: Stereolab, Spiritualized, White Stripes, Strokes, Eels.

Categorie: Oltre le stelle | 1 commento

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Un pensiero su “Oltre le stelle (14)

  1. Alfonso

    Sugli Starsailor fosti purtroppo buon profeta, ma quel primo dischetto lo metto ancora su e il piacere che ne ricavo non è del tutto dovuto ai bei ricordi dei tempi andati. Sembravano potessero diventare quasi un gruppo importante allora. Poi vabbè di lì a un paio di mesi arrivarono Strokes Interpol e BRMC e del N.A.M. nessuno si ricordo più.

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