Kim Fowley

Fra le cose che preferisco di questo mio strano lavoro c’è senza dubbio la possibilità di incontrare i miei musicisti preferiti, o almeno di chiacchierarci un po’ al telefono. Non sempre le cose vanno come sperato e non sempre gli interlocutori si rivelano in linea con le aspettative, ma se capita l’occasione vale sempre la pena di tentare. Kim Fowley, uno dei miei personali miti della metà dei ’70, si è però rivelato esattamente come me l’immaginavo. Ah, la biografia citata in chiusura non ha mai visto la luce, ma nel 2012 la Kick Books ha pubblicato il primo volume (di tre) di quella che ha tutta l’aria di essere l’evoluzione del progetto, Lord Of Garbage.

Kim Fowley fotoIl dorian gray del rock’n’roll
Kim Fowley è un mio personale cult-hero da moltissimo tempo: addirittura da metà dei ‘70, quando cominciai una ricerca spasmodica di tutti i suoi vecchi album intrigato non tanto dalla musica in sé – spesso bizzarra, ma comunque sempre di qualità – quanto piuttosto dalle doti camaleontiche di questo vulcanico produttore, talent-scout, autore, cantante, musicista e mille altre cose, che ha attraversato e vissuto da protagonista l’intera epopea del rock’n’roll e che dopo oltre quattro decenni di carriera non si è ancora stancato di creare, giocare e far casino.
Per questo, una volta appreso che era possibile intervistarlo, non ho saputo trattenere l’entusiasmo, pur essendo consapevole del fatto che la chiacchierata avrebbe potuto soddisfare sì e no un centesimo delle mie curiosità. I quaranta minuti al telefono sull’asse Italia-California sono stati comunque straordinari, con Fowley che si lanciava in appassionati monologhi fitti di nomi, titoli e date e il sottoscritto che cercava di porre un freno alla sua libera esuberanza verbale per focalizzare il discorso su argomenti quanto più possibile specifici. Eccovi dunque il (parziale) resoconto dell’insolito colloquio, che a onor del vero ha conosciuto qualche momento di semi-delirio: più che un’intervista, le cartelle che seguono vorrebbero essere una specie di “polaroid” della persona e del personaggio, sperando di potere in futuro approfondire il concitatissimo vissuto del nostro interlocutore.
Partiamo dall’argomento di più stretta attualità, la recente riedizione di Living In The Streets. Al di là delle esaurientissime note, cosa puoi dirmi di quel disco?
È stato realizzato nel 1976, ma l’ho concepito per il ventunesimo secolo e non per ventisette anni fa: la mia musica è sempre avanti nel tempo.
Ed è per questo che la ristampa è uscita proprio adesso?
No, no: volevo solo dire che, anche se l’ho pubblicato la prima volta più di venticinque anni fa, potrebbe essere uscito ora, così come il disco che ho finito di registrare ieri potrebbe esser fuori tra vent’anni e avere ancora un suo senso.
Pensi che Living In The Streets sia il miglior album possibile per presentare Kim Fowley al pubblico di oggi?
Credo che, in generale, sia un disco adattissimo per gli europei. Del resto io sono mezzo europeo: mia madre è americana, ma la famiglia di mio padre è irlandese e infatti posseggo la doppia cittadinanza. Sono un europeo con l’accento americano. Ho vissuto tanto lì da voi, nel Vecchio Continente, ho frequentato l’università a Stoccolma e ho avuto anche una ragazza italiana che viveva a Milano…
Come hai stretto l’accordo con la Microbe, l’etichetta francese che ha confezionato Living In The Streets?
Sono stati loro a prendere contatto: mi hanno chiamato e mi hanno detto “vogliamo ripubblicare il tuo album del 1977”, e io ho risposto “va bene, fatelo”. Ho chiesto loro se per caso volessero anche altri miei dischi, ma non erano interessati. Non ho contratti con nessuno, sono libero di gestirmi come voglio: ci sono vari miei album in uscita in Europa entro l’estate. Impossible But True, un “greatest hits” per la Ace; un nuovo lavoro registrato qui nel deserto, Sand, con Roy Sweeden, al quale hanno partecipato anche Chris Darrow e Max Buda; e poi un altro assieme a membri dei Teenage Fanclub… però, per rispondere alla tua domanda di prima, ritengo che Living In The Streets costituisca una perfetta introduzione a Kim Fowley per quelli, magari giovani, che non hanno idea di chi io sia: come ti ho già accennato, sono un uomo di ieri che fa musica per il domani. Inoltre so anche in qualche misura prevedere quel che accadrà: sono una specie di Nostradamus del rock’n’roll.
Purtroppo, sul mercato, il tuo catalogo storico è praticamente assente, e moltissimi tuoi albun non sono stati neppure mai pubblicati in CD. Però il tuo culto è ancora ben vivo: mi ricordo una raccolta del 1998 edita dalla Bacchus Archives di Lee Joseph, Underground Animal, con una ventina di tue oscure produzioni degli anni ‘50 e ‘60…
Me lo ricordo bene anch’io, dato che per quel CD non ho visto un dollaro. Lee Joseph mi ha imbrogliato: ha ottenuto la mia collaborazione dicendomi che sarebbe uscito in una tiratura limitatissima di duecento copie da regalare agli amici per il Natale, una specie di cartolina natalizia musicale, e invece ha confezionato un CD autentico, venduto nei negozi. Mi sono fidato, anche perché la sua ex moglie era la mia segretaria, e sono rimasto fregato.
Mentre preparavi Living In The Streets, il punk stava cominciando a impazzare dovunque. Quali erano i tuoi rapporti con il movimento?
Beh, potrei dire di essere stato io a dargli il “la”… perlomeno a Los Angeles, dove vivevo allora. Sono il padre del punk californiano, perché gestivo il Whisky A-Go-Go: ho presentato il primo concerto dei Germs, e i Weirdos, e gli Screamers… e Venus & The Razorblades, dei quali sono stato anche il produttore. Ho dato suggerimenti a Greg Ginn dei Black Flag per fondare la SST… Insomma, non voglio sembrare vanaglorioso, ma sono stato in un mucchio di posti e ho tenuto a battesimo tantissime situazioni: nella seconda metà dei ‘90, mentre la scena che ha generato i White Stripes stava sviluppandosi, io ero lì, ci sono le prove. E nel prossimo album postumo dei Nirvana ci sarà anche una mia canzone.
Quindi sei sempre stato in movimento, non hai mai messo radici in qualche posto specifico.
No, sono una specie di nomade che va dove lo porta l’istinto e si ferma dove ritiene possa valerne la pena. Ho vagato fra trentanove diverse città americane e ventidue nazioni oltreoceano, solo dal 1985 al 2001 ho vissuto in dieci città europee e quindici americane. Mi piace andare in giro e soprattutto mi piace registrare tutte le situazioni musicali interessanti nelle quali mi imbatto. Sono come un cane randagio: quando mi trovavo a New Orleans, dove sono rimasto per cinque anni, mi avevano affibbiato il soprannome “voodoo dog boy”.
Adesso dove vivi?
Nel deserto californiano, a settantacinque miglia da Hollywood. Riesco a lavorare ugualmente benissimo grazie all’e-mail, e poi chi vuole venirmi a trovare è sempre bene accetto.
Ti capita ancora di suonare dal vivo?
Certo che sì, e mi diverto anche tanto. E poi continuo a registrare nuovo materiale, e oltre ai dischi dei quali ti dicevo prima ho quasi ultimato la mia autobiografia che dovrebbe uscire il prossimo anno.
Chi te lo fa fare, di sbatterti così tanto? Perché continui a suonare?
In verità non so perché faccio dischi, li faccio e basta: vado in studio, accendo le macchine e la musica viene fuori da sola.
C’è qualcos’altro che vorresti aggiungere?
Sì, che non sono sposato. Lo sono stato, ma adesso sono libero. Anzi, ti pregherei di riportare nel tuo articolo l’indirizzo del mio sito Internet (agli ordini, Kim: http://www.kimfowley.com, NdA) nel caso qualche ragazza del tuo paese volesse conoscermi: in fondo il motivo per il quale la maggior parte della gente si dedica alla musica è per incontrare delle ragazze.

Kim Fowley in pillole
Kim Fowley nasce il 21 luglio del 1939, figlio di una coppia di attori, e cresce a Hollywood, subendo fin dalla più tenera età il fascino della musica. Diciottenne, comincia seriamente a impegnarsi come cantante e impresario, e già alla fine degli anni ‘60 il suo curriculum comprende una serie interminabile di esperienze: la più clamorosa quella degli Hollywood Argyles, gruppo-fantasma da lui creato in studio, che con la sua irresistibile canzoncina Alley-Oop sale fino al primo gradino della classifica dei singoli statunitensi.
Dopo aver colto altri successi, nel 1964 Fowley si reca in Gran Bretagna per proseguirvi il suo lavoro “dietro le quinte”: lì scopre gli Hellions (con i futuri Traffic Dave Mason e Jim Capaldi), i Soft Machine, i Family e gli Slade, e co-firma il singolo d’esordio di Cat Stevens; in America, tra le altre cose, realizza alcuni singoli in proprio ed è ospite in Freak Out di Frank Zappa. Il suo debutto a 33 giri è invece del 1967 con Love Is Alive And Well (Tower), che strizza l’occhio al flower-power all’epoca imperante; seguono, per la Imperial, una strampalata raccolta di cover strumentali suonate all’organo (Born To Be Wild, 1968), un riuscito album di rock sanguigno (Outrageous, 1968) e un quarto disco più bizzarro e concentrato sui testi (Good Clean Fun, 1969); inoltre, produce il comeback discografico di Gene Vincent e procura a Warren Zevon il suo primo contratto, proprio per la Imperial (ne firmerà anche la bella title track, Wanted Dead Or Alive).
La discografia “storica” di Fowley si arricchisce del cantautorale The Day The Earth Stood Still (MNW, 1970), uscito in Svezia, e di due validi 33 giri rock per la Capitol (della quale è nel frattempo diventato talent scout), I’m Bad (1972) e il suo capolavoro International Heroes (1973). Dopo, la sua carriera si va più frammentaria e molto meno controllabile, generando comunque alcuni altri album in qualche modo classici: Animal God Of The Street (Skydog, 1974), Living In The Streets (Sonet, 1977), Sunset Boulevard (Illegal, 1978) e Snake Document Masquerade (Island, 1979); il colpo da maestro dei Settanta è però la scoperta delle Runaways di Joan Jett. Assai più “sotterranea”, ma non meno frenetica, l’attività a partire dal 1980, con numerosissime produzioni e collaborazioni mai particolarmente alla luce del sole (ad esempio, i CD con Chris Wilson, Ben Vaughn e BMX Bandits) ma improntate ai soliti criteri di eclettismo o, se preferite, di dissennata creatività. E questa non è che la punta dell’iceberg: chi fosse interessato a saperne di più, che comunque non potrà mai essere tutto, dovrà solo attendere l’autobiografia della Feral House Books Confessions Of A Rock And Roll Madman, a/k/a Rock And Roll Genius, attesa per il prossimo anno.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.538 del 17 giugno 2003

Categorie: interviste | Tag: , | 22 commenti

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22 pensieri su “Kim Fowley

  1. Pingback: Kim Fowley – The Day the Earth Stood Still | Una volta ho suonato il sassofono

  2. Leonardo Di Maio

    “The Day The Earth Stood Still” è stato ristampato in vinile dalla Area Pirata. la ristampa in cd su Spalax è di difficile reperibilità, invece

  3. Andy

    Ciao a tutti, potreste dirmi dove trovare l’album “Living in the Street” di Kim Fowley? E’ un’impresa disperata, in cd non esiste ancora, e non è facile trovarlo su internert… Ho ascoltato dei brani su youtube, mi sembrano interessanti e divertenti, appartenenti a un glam rock ironico e poco pesante, al contrario di molte sbobbe indigeste, forse più classiche del genere. Di Fowley ho già apprezzato tantissimo “International Heroes” e “I’m Bad” e, naturalmente, il sorprendente “Outrageous”. Inoltre, mi piacerebbe approfondire il personaggio, ma è sfuggente come la sua musica è difficile da inserire in un unico genere. Un saluto, a presto.
    Andy

    • Al momento su Discogs ce ne sono in vendita dieci copie, a partire da 14 euro. In CD in realtà è stato ristampato, una decina di anni fa, ma quello credo sia più difficile da trovare. I tre che hai sono probabilmente i migliori della discografia, ma anche “Living In The Streets”, “The Day The Earth Stood Still”, “Animal God Of The Streets” e “Good Clean Fun” non sono affatto male. La discografia è complicata, è vero, oltre che disomogenea a livello stilistico e qualitativo. Lui, però è un personaggio unico. La sua autobiografia, purtroppo parziale, è pure notevole.

  4. Mario Galasso

    Grazie mille! Ho trovato oggi in un mercatino una ristampa francese di Love is Alive and Well, e sono contentissimo! Ci ho messo tre ore però, e molti degli esercenti ammettevano candidamente di non conoscere il nostro… che delusione. Scusate l’off topic ma volevo condividere la gioia! Buona domenica

  5. Mario Galasso

    Ciao Federico!
    Un domandone: Ricordi il brano “The Trip”? “Summertime here kiddies, and it’s time to take a trip, to take a trip”. 1965. E’ contenuto in qualche disco di KF?

    Grazie!
    Mario

    • Uscì in origine solo in formato 45 giri e fu anche ristampato, in epoca punk, come 45 giri. una decina di anni fa è stato inserito in un’antologia di rarità della ACE, “Impossible But True – The Story Of Kim Fowley”. La discografia del nostro eroe è una delle più incasinate di sempre.

      • Leonardo Di Maio

        Mi pare che “The Trip” (da non confondere con l’omonimo gruppo progressive italiano!) sia uno dei brani “cult” di Julian Cope, tra l’altro

  6. Pubblicità progresso? 😀
    Mi sfugge però il senso di recensire oggi un disco che uscirà attorno al 20 di aprile…

    • Leonardo Di Maio

      “Pubblicità progresso” ci può stare (tanto, sul web, tutto è di tutti, compresi i plagi, su cui non ci si può fare niente). Il cd uscirà il 20 Aprile, ma avendolo già tra le mani, ho pensato di recensirlo subito. Tanto, prima o poi, dovevo farlo. Le tempistiche del web sono assai diverse rispetto a quelle delle riviste cartacee, anche se spesso i siti web arrivano dopo rispetto ai “concorrenti di carta”

      • Boh, non lo so. Anche se si parla della ristampa di alcuni album di oltre quarant’anni fa, mi sembra bizzarro occuparsene oggi che il disco non è ancora acquistabile (in Rete gli album originali si trovano, certo).
        Ciò che odio di Internet è questa dannata fretta di arrivare prima, di correre correre correre. Tutta questa folle frenesia. Al di là della carta, se io avessi avuto la responsabilità di un sito non avrei mai recensito questa antologia di Kim Fowley prima del 19 aprile.

      • Leonardo Di Maio

        Onestamente, non ho idea quando effettivamente uscirà la recensione. Sul web è comunque questione di giorni, ma, come sottolinei tu, può darsi pure che aspettino un pochino per farla uscire. Per dirti, io ho recensito solo una settimana fa (e la recensione deve ancora uscire) la compilation su Strut, contenente diversi 12″ della Celluloid, che è stata immessa sul mercato a metà Febbraio 2013. L’ho recensita in ritardo perché il promo me lo hanno consegnato in ritardo rispetto alla sua uscita effettiva. Idem per il box dei Red Temple Spirits. E’ uscito un mese e mezzo fa e Ondarock ancora aspetta a far uscire la mia recensione. Ci capisci qualcosa? E’ un mistero. Comunque, è appena morto Enzo Jannacci. Cavolo, mi dispiace

      • Comunque non volevo polemizzare, eh: pensavo solo “a voce alta”. Su Jannacci ho appena fatto un post, vincendo l’amarezza. Ok: aveva un’età, stava male, la vita se l’è goduta, ma dispiace tanto lo stesso.

      • Leonardo Di Maio

        Tranquillo Federico, non erano toni minacciosi e di lotta, i nostri. Si discute solo tra colleghi di cose che ci toccano da vicino. Io sono un semplice collaboratore (o redattore, se vuoi), ma non mi occupo della parte editoriale del sito per il quale scrivo. Di Jannacci sono da riscoprire i suoi dischi per la Ultima Spiaggia, la sfortunata e coraggiosa label fondata da Nanni Ricordi

  7. Leonardo Di Maio

    Io sono in procinto di recensire per Ondarock la doppia raccolta “Wildfire” che uscirà a breve per la Cherry Red e che comprende tutto il periodo Imperial

    • Sì, i tre album Imperial. “Good Clean Fun” fu il primo di Kim Fowley che comprai: edizione italiana “forata”, te la tiravano in faccia a due lire. È un buon album, meglio di
      “Born To Be Wild” ma non all’altezza del magnifico “Outrageous”.

      • Leonardo Di Maio

        Recensione di “Wildfire” inviata oggi pomeriggio. Immagino sarà on-line su Ondarock a partire dal giorno di Pasqua (!!!) o giù di lì. Tra l’altro, uscirà in contemporanea con la mia recensione di “The Complete Recordings” dei Red Temple Spirits

  8. Nicholas

    Salve Federico, complimenti per il blog, l’ho scoperto l’altro giorno e ora sto sfogliando gli articoli.
    Conoscevo Kim Fowley in veste di produttore e pigmalione delle Runaways, ma da quello che leggo la sua produzione solistica è di buon livello, per cominciare mi sembra di intuire che consiglieresti (mi permetto di darti del tu) “The International Heroes”

    • Ovvio che mi devi dare del tu!
      Io inizierei da “International Heroes”, certo, ma ce ne sono anche altri niente male: “Outrageous”, “Good Clean Fun”, “I’m Bad”, “Living In The Streets”…

  9. Ma International Heroes è uscito con copertine differenti?

    P.S.
    Spero anche in qualche resoconto in cui l’incontro non è andato come da aspettativa.

    • Sì, l’edizione inglese aveva una copertina più “seria”… curioso, considerato che in quel periodo in UK impazzava il glam e quindi l’originale USA sarebbe stata perfetta.

      Devo dire che di interviste andate male-male non ne ricordo, a parte una ai Sonic Youth che però non è stata mai pubblicata perché non l’ho neppure mai trascritta. Chissà.

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