Un avvertimento: questo è un post atipico per i miei standard. Per il mio blog non ho fissato regole, ma posso affermare con certezza che questa sarà un’eccezione, per la lunghezza esagerata e per il tipo di “articolo”. È comunque sufficiente leggere le prime righe qui sotto e scollegarsi, se la questione non interessa. Allora… la prendo un po’ alla larga, ma ci tengo a spiegarmi al meglio. Delle tante cose stupende di Internet, ce n’è una che non mi va proprio giù e che vedo regolarmente accadere in forum, blog e social network: il fatto che chiunque possa insultare chiunque altro avendo letto forse un decimo della (lunga) discussione in corso e magari senza avere la minima idea di chi sia la persona alla quale si rivolge. Chiaramente, scrivendo da oltre trent’anni su testate diffuse su scala nazionale, mi trovo esposto da un po’ a questo “problema”: esprimo civilmente un parere, magari anche forte ma mai buttato lì con superficialità, e l’artista (italiano, è ovvio) oggetto del parere… se la prende. Ci potrebbe stare una civile replica e un civile dibattito, ma accade di rado: di solito, l’artista tira in ballo concetti tanto generici quanto ridicoli (“non capisce un cazzo”, “è un venduto”, “scrive bene solo dei suoi amichetti”), passando poi alle ingiurie personali e/o alludendo a fantomatici scheletri nell’armadio che non si possono rivelare ma che ci sono, sicuri al 100%, e “quello è uno stronzo, io lo so bene, di lui non ci si può fidare”. E ciò naturalmente fomenta fan più o meno ottenebrati dall’idolatria che si sentono in dovere di difendere il loro Vitello d’oro, con conseguenti umilianti, gazzarre.
Molto di recente mi è accaduto qualcosa del genere con Umberto Maria Giardini già Moltheni, musicista che – lo (ri)dico, come ho sempre fatto – trovo bravissimo. Meriterebbe il successo su ben più vasta scala, fuori dal piccolo e sfigatissimo giro indie, ma purtroppo ciò non succede. Vi racconterò la storia del nostro tormentato (?) rapporto, sperando di non dimenticare nulla e sforzandomi di essere obiettivo. Vista l’estensione del post, gli darò – per sdrammatizzare, eh – un titolo da poema epico.
La prima volta che ho scritto di Moltheni.
Molto differente è invece la formula di Umberto Giardini, alias Moltheni, il cui omonimo mini-CD (sei brani) ratifica il recente accordo di collaborazione tra la gloriosa etichetta catanese Cyclope e la BMG. Un biglietto da visita, questo del cantautore milanese (sì, lo so, ma questo si desumeva dal comunicato, NdA) emigrato a Bologna, non agevole da inquadrare, dove l’abbraccio tra armonie lineari e subito accattivanti e rock’n’roll “moderno” (abbastanza convenzionale, seppure elaborato nei suoi equilibri tra elettrico, acustico ed elettronico) sostiene testi di argomento sentimental-esistenziale non privi di immagini alquanto bizzarre cantati con toni nasali e appena indolenti e con un’impostazione che spesso rimanda alle tradizioni del classico pop nostrano. Un prodotto, insomma, che suscita legittime perplessità, anche se il sottoscritto è convinto che adornando la copertina del proprio primo disco con la foto di un lavandino e intonando serio nel ritornello di un pezzo (oltretutto intitolato Preponderante ma del tutto inefficace) “nella merda lieve mi ritrovo/di nuovo” lo spiazzante Moltheni faccia intuire di avere comunque in mano buone carte. Si attenda dunque almeno il prossimo giro, prima di giurare sul bluff.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.362 del 31 agosto 1999
I fan si chiederanno cosa mai avessi recensito. Lo spiegherò due settimane più tardi.
Ricordate il disco d’esordio di Moltheni segnalato esattamente due settimane fa? Massì, quel mini-CD con sei brani sulla cui copertina troneggia la foto di un lavandino… Beh, fate conto che non esista e non perdete tempo a cercarlo nei negozi: non ne trovereste traccia, visto che il compact non è stato concepito per la vendita ma solo per presentare l’atipico “cantautore” alla ristretta platea degli addetti ai lavori in attesa dell’album, che conterrà il doppio delle canzoni e che uscirà in un giorno non ancora precisato tra ottobre e gennaio. Come mai, allora, il disco ha ottenuto spazio sulle nostre pagine? In primis, perché le note stampa allegate non specificavano chiaramente la particolare natura dell’oggetto, e considerato che in Italia nessuno realizza cd promozionali così ricchi e raffinati sotto il profilo estetico, l’idea che si trattasse di un prodotto al 100% fuori commercio non ci ha neppure sfiorati; e poi, in misura minore, perché le righe di commento sono state stese a metà agosto, quando l’assenza di rapporti causa vacanze con colleghi e case discografiche ha impedito all’anomalia di emergere nel corso di una chiacchierata informale o professionale. Cappella fu, comunque, seppure con valide attenuanti, e ciò ci rincresce: soprattutto per quanti di voi si sono impegnati in una infruttuosa caccia al “fantasma”, e meno per la Cyclope, la BMG e lo stesso artista che in definitiva hanno goduto di una discreta pubblicità. E la cosa più buffa è che si dovrà tornare ancora sull’argomento per recensire il vero CD.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.364 del 14 settembre 1999
La recensione del primo album arriva poi, puntuale, un paio di mesi dopo.
Umberto Giardini, in arte Moltheni, è stato citato per la prima volta sulle nostre pagine nel lontanissimo n.279 da una Carmen Consoli che lo indicava come musicista di notevoli qualità: un giudizio da non sottovalutare anche perché incontrovertibilmente ribadito dal produttore Francesco Virlinzi, che senza indugio – sulla base di un pur artigianale demo-tape con cinque brani – ha offerto asilo al trentunenne marchigiano presso la sua etichetta Cyclope (distribuzione BMG). Oltre due anni dopo l’invio a Catania della fatidica cassetta, Moltheni fa ora il suo ingresso nella giungla discografica con questo Natura in replay; un album che, nonostante l’indole “cantautorale” e la cura riservata agli aspetti melodici, si stacca nettamente dalla produzione italica, fotografando un personaggio davvero lontano dai cliché: nelle trame strumentali, semplici nelle armonie ma estrose e spesso poco prevedibili nel loro rivestimento di suoni; nelle liriche, incentrate sui rapporti con “l’altra metà del cielo” ma atipiche e a tratti spiazzanti nelle costruzioni delle frasi e in qualche scelta di termini; nella voce, cantilenante e nasale ma dotata del requisito dell’inconfondibilità.
Certo, l’ambito di appartenenza è quello del pop: un pop, comunque, ipnotico, stralunato e mai del tutto lineare, che nel passaggio dalla dimensione casalinga a quella di “articolo per le masse” ha assunto una fisionomia di sicuro più raffinata, senza però smarrire quel carattere delicato e mai invadente – semmai, morbidamente invasivo – che a ben vedere è la sua arma più efficace. E un pop che, soprattutto a causa della singolare impostazione canora (se riuscite ad immaginate una sorta di Carmen Consoli al maschile non sarete molto lontani dalla verità, almeno per quanto riguarda alcuni episodi), è facile che susciti reazioni immediate e decise di incondizionato apprezzamento o di totale disapprovazione. Al di là del fatto che piaccia o non piaccia, e sebbene questi dodici pezzi siano ricchi di riferimenti volontari o inconsapevoli ad esperienze musicali antiche e contemporanee, Moltheni sfugge a ogni preciso raffronto, riuscendo a offrire il meglio di sé – almeno a parere di chi scrive – nei brani pacati, avvolgenti, mesmerici e in linea di massima più malinconici (quelli pressoché assenti nel mini-CD “solo promomozionale” segnalato un paio di mesi fa: Flagello e amore, Argento e piombo, Lo specchio, la title track, Desiderio innocuo, il breve strumentale Ogni cosa a suo tempo), e sembrando invece meno a suo agio quando i ritmi sono più accesi e quando alla voce è richiesta una maggiore estensione. Rimane comunque globalmente interessante, Natura in replay, anche se tra i solchi non si avverte granché degli artisti per i quali il suo titolare non ha paura di dichiarare profondi sentimenti (Smiths, Jeff e Tim Buckley, Nick Drake, Billy Bragg, Beck, Evan Dando dei Lemonheads); e, a suo modo, coraggioso nell’evitare le trappole di una struttura impostata su artifici elettronici a favore di un suono limpido e aggraziato nel quale dominano le chitarre (da non sottovalutare, però, il ruolo delle tastiere del co-produttore Roberto Baldi, capaci di interventi di straordinaria classe).
Ha qualcosa di speciale, Moltheni, anche nel look e – almeno per ciò che finora si è potuto vedere – nell’approccio al business. E anche se nel complesso lo avremmo preferito più crudo e spigoloso, e se a volte la tendenza all’abulia canora è forse un po’ pesante, ci sentiamo di salutarne l’esordio con soddisfazione: non fosse altro – ma dell’altro c’è – per la simpatia che proviamo per la creatività che sa liberarsi dal giogo dei cliché e per i creativi che non hanno paura di seguire i propri sogni.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.373 del 16 novembre 1999
Insomma: seppur con qualche riserva, parere positivo. Mi sembra quindi logico procedere con un’intervista.
Al di là dei pregi e dei difetti del suo Natura in replay, peraltro ricco di felici intuizioni melodiche, strumentali e liriche, Umberto “Moltheni” Giardini è un personaggio senz’altro interessante, come reso esplicito dal suo approccio poco convenzionale – fatte le debite proporzioni, potremmo quasi dire beckiano – non solo alla musica ma anche al look e alle faccende di business. Ovvio che tale attitudine a uscire dagli schemi sia apparsa in modo ancor più chiaro nel piacevole incontro con il cantautore marchigiano (ma prima scozzese e poi milanese di adozione, e ora bolognese di domicilio), finalizzato a ottenere lumi sul suo singolare progetto “pop”.
Credi sia giusto affermare che in Natura in replay convivano due anime, una eterea e pacata e una estroversa e “piena” dal punto di vista strumentale?
Sì, senz’altro. Al di là delle strutture di base, la dicotomia è stata accentuata dagli interventi più o meno pesanti effettuati in sede di arrangiamento e produzione. In origine l’idea era quella di azzardare qualcosa di inconsueto per i canoni del mercato major, confezionando un album sostanzialmente intimista – chitarra e voce, seppure con qualche stranezza – con in più un paio di brani “radiofonici”; nel prosieguo del lavoro, però, tale politica è stata stravolta, e si è cominciato ad aggiungere, aggiungere… Quando me ne sono reso conto ho cercato di riprendere il discorso iniziale, quello delle atmosfere più soffici, ipnotiche e devianti, ma purtroppo ci sono riuscito solo in parte. Volendo sintetizzare, dico che non sempre si arricchisce aggiungendo, lo si può fare anche impoverendo.
Mi sembra di capire che non ne sei granché soddisfatto.
Ne sono contentissimo per quanto riguarda i testi e gli aspetti strettamente compositivi, ma sul piano generale sono abbastanza perplesso. Spero in futuro di poter affidare la produzione artistica a Manuel Agnelli, con il quale vorrei realizzare qualcosa di più lunatico, con sbalzi d’umore più netti: pezzi duri, ma duri sul serio, e pezzi vuoti, ma vuoti sul serio.
Ma se non eri convinto dal disco, perché alla fine hai dato il tuo assenso all’uscita?
Non vorrei sembrare patetico, ma sono sempre un artista esordiente e oltretutto non più giovanissimo… Dall’accordo con la Cyclope alla conclusione delle registrazioni erano già passati due anni, e gli investimenti di mezzi ed energie effettuati dall’etichetta erano stati notevoli. Insomma, non ho voluto fare il rompipalle e ho accettato la cosa così com’era venuta fuori, riservandomi di mostrare il mio “vero” volto nelle esibizioni dal vivo.
Così Natura in replay rimane in mezzo al guado: troppo strano per il pubblico generico, troppo pop per quello alternativo.
Una delle mie più grandi paranoie riguarda proprio la collocazione del mio prodotto: purtroppo alcuni giornalisti lo hanno frainteso, vengo scambiato per ciò che non sono e non vorrei essere. Di solito la gente mi dice che sul palco sono totalmente diverso, e ciò non mi stupisce: molti dei musicisti che hanno suonato nell’album non li ho neppure visti in faccia, e alcune canzoni delle quali avevo registrato voce e chitarra le ho ascoltate per la prima volta, con gli arrangiamenti completi, solo dopo i mixaggi.
Il tuo canto, e non solo quello, presenta attinenze con quello di Carmen Consoli: è un caso?
No, affatto, ma devo anche precisare che certe similitudini, certi accenti vocali, certe scelte di accordi e certe atmosfere appartengono ormai al passato remoto della mia personalità artistica. La verità è che solo di recente ho cominciato a guardarmi allo specchio e sapermi riconoscere in una realtà artistica definita. Pensa che fino al “Brand New: Tour” non avevo praticamente mai fatto concerti.
Perché Moltheni?
Umberto Giardini evoca immagini abbastanza tristi da cantautorato da classifica nostrano, e ho adottato il nome di una farmacia che stava di fronte alla mia casa di Milano. Però ci ho messo in mezzo una “h”, che non cambia il suono ma mi distingue dai tanti brianzoli con questo cognome.
Sei nato nelle Marche e hai vissuto a Glasgow, ma la tua nascita artistica è avvenuta a Milano.
Sì, ho cominciato a suonare, cantare e comporre da autodidatta, dopo aver visto gli Afterhours dal vivo. Dopo un po’ ho inciso un piccolo demo e l’ho spedito a due etichette, la Mescal e la Cyclope: la prima non era interessata e la seconda mi ha offerto un contratto.
È sbagliato definirti come una specie di “Beck all’italiana”?
In effetti imposto le cose un po’ come faceva lui nei primi dischi, o magari come Elliott Smith, ma mi sento anche vicino a Nick Drake per via di certe atmosfere malinconiche e un po’ cupe. Sono stato un beckiano assoluto, e sono stato molto felice di averlo conosciuto di persona e averci parlato più di una volta, ma sotto il profilo artistico il mio padre spirituale è Manuel Agnelli.
I tuoi testi fanno pensare che tu sia un tipo strano e complicato.
Boh, forse è vero… i miei brani sono autobiografici, anche se certi umori di fondo hanno probabilmente attinenza con le mie letture e i miei ascolti. Mi piace scrivere di rapporti con le donne e di rapporti umani in genere: non sempre, però, sono canzoni d’amore in senso stretto: alcune, per esempio, le ho composte per mio padre, che ho perso qualche anno fa.
In generale, come vivi questi primi momenti di gloria?
Direi bene. A un mese dall’uscita Natura in replay ha già venduto tremila copie, e sono gratificato da tutto l’interesse che c’è nei miei confronti. A febbraio l’album sarà ristampato con l’aggiunta di Nutriente, il pezzo che presenterò al Festival di Sanremo: rispetto ad altri lo reputo senza dubbio più rappresentativo della natura di Moltheni, nel registrarlo sono stato molto più attento…
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.380 del 18 gennaio 2000
Nel 2001 tocca al secondo album, che recensisco.
Chi non ha invece paura di mostrare fino in fondo sè stesso, nonostante sia consapevole di dover così rinunciare a una larga fetta di platea, è Umberto “Moltheni” Giardini, che con il secondo album Fiducia nel nulla migliore (Cyclope/BMG come il precedente Natura in replay) si conferma realtà tra le più aliene e stimolanti del panorama italiano. Forte di una vena eclettica e stralunata, espressa in un rock tendenzialmente melodico dove armonie rarefatte e visionarie generano all’improvviso fiammate di vigore e distorsione, il musicista bolognese (d’adozione) – tra l’altro autore di liriche tanto eccentriche quanto intrise di sofferta emotività, intonate con sgraziato trasporto – sembra aver messo bene a frutto l’esperienza acquisita negli ultimi due anni: rispetto all’esordio, Moltheni è oggi più convinto, più potente, più spigoloso, in apparenza più deciso a enfatizzare i naturali contrasti della sua musica che non a levigarli (si prendano ad esempio Misma o In me, due tra i momenti più trascinanti), più propenso ad assecondare la sua indole alternative che non a mitigarla (merito anche della produzione, effettuata in North Carolina, degli americani Chris Stamey e Mitch Easter, da oltre vent’anni cult heroes del rock d’oltreoceano). Ecco così che in quattordici pezzi e un’ora di durata complessiva Fiducia nel nulla migliore esalta il carisma – bizzarro, allucinato e all’occorrenza anche “disturbante”, ma al 100% vero – di un artista speciale, che può non piacere (i gusti sono gusti) ma al quale si devono comunque concedere rispetto e sostegno. Unico neo, che sarebbe magari il caso di rimuovere per non dar luogo a spiacevoli equivoci, una devozione nei confronti degli Afterhours a volte dichiarata troppo esplicitamente; ma si tratta, appunto, di un neo, troppo piccolo per deturpare un quadro d’insieme affascinante già dalla spoglia ma bellissima copertina.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.457 del 9 ottobre 2001
Promozione piena, insomma. Decido così di mettere Moltheni sulla copertina di “Fuori dal Mucchio”, l’inserto da 16 pagine dedicato agli emergenti italiani che una volta al mese viene spillato al centro del Mucchio Selvaggio. Ad essa si accompagna naturalmente un’intervista, che affido al collega Aurelio Pasini e che esce nel n.461 del 6 novembre 2001.
Passa un bel po’ di tempo e Moltheni riappare in un momento molto particolare: Il Mucchio è appena ritornato mensile, gli spazi per gli italiani si sono ridotti, le nostre idee su cosa debba andare nel settore emergenti e cosa al di fuori di esso sono piuttosto confuse. Questo fa sì che Splendore terrore non esca da “Fuori dal Mucchio”: se la rivista fosse stata ancora settimanale ci saremmo comportati diversamente, e con tutta probabilità ci sarebbe scappata pure la copertina.
Lascerà non poco stupiti, il terzo CD di Umberto “Moltheni” Giardini, quanti avevano sentito le voci di una decisa svolta in chiave stoner del cantautore marchigiano naturalizzato bolognese: voci non infondate, visto che l’album di acid-rock è stato in effetti inciso, ma “superate” dalla scelta dell’etichetta che lo ha finanziato di metterlo a riposare in un cassetto nell’attesa di darlo prima o poi alla luce. Nei negozi arriva così Splendore terrore, che presenta il Nostro in una veste di sicuro più in sintonia con quelle dei dischi in precedenza confezionati ma da esse in larga parte distante: nell’impostazione strutturale, che si allontana sia dal pop del quasi-ripudiato Natura in replay del 1999 che dal rock (in qualche misura già tendente all’hard psichedelico) del più riuscito Fiducia nel nulla migliore del 2001, così come nella poetica dei testi, meno surreale e più intimista.
È un lavoro estremamente scarno, il terzo Moltheni: sospeso, si potrebbe dire, in un’atmosfera meditabonda che nonostante la pesantezza dei temi affrontati – solitudine, frustrazione, impotenza, mal di vivere in genere – riesce a non rovinare nel (troppo) deprimente. Raccolta di episodi lenti ed eterei che spesso si fa fatica a definire “canzoni” (almeno nel senso accattivante di norma attribuito al termine), tra i quali affiora anche qualche intermezzo strumentale, Splendore terrore è per il suo titolare una specie di esorcismo, un rito catartico sonorizzato con leggiadre chitarre, morbide armonie di würlitzer, ritmiche mai troppo marcate (e in qualche caso assenti) e una voce a volte sussurrata ma più spesso in bilico fra il Lucio Battisti più sofferto e il Manuel Agnelli più avvolgente e onirico; non un album immediato, questo è certo, ma un album vero, la cui intensità è di quelle che possono derivare solo da una stretta aderenza tra le creazioni dell’artista e il suo vissuto… e un album fragile come potevano essere quelli di Nick Drake o dei Felt, che riesce comunque a trasmettere all’ascoltatore suggestioni positive e non opprimenti. Difficile formulare ipotesi sulle future tappe di un percorso espressivo così umorale che a ben vedere potrebbe condurre da qualsiasi parte, ma anche prematuro farlo dovendo ancora mettere a nudo le infinite sfumature di un’opera complessa e profonda, che per essere eventualmente apprezzata richiede dedizione assoluta e non assaggi superficiali.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.606 del gennaio 2005
Il mese successivo Moltheni viene intervistato da Aurelio Pasini. Di lì a poco incide una bella cover de Il tempo di morire per il CD-tributo a Lucio Battisti Respiriamo liberi allegato al n.18 del Mucchio Extra (il periodico “di approfondimento musicale” da me diretto) che esce in estate. Nel 2006, con Toilette memoria, il Nostro approda finalmente alle recensioni normali.
Sono ormai sette anni che Moltheni, per l’anagrafe Umberto Giardini, ha avviato un percorso discografico all’insegna del pop d’autore più o meno imparentato con il rock, di cui quest’album costituisce la quarta tappa: un cammino che, a dispetto degli ostacoli anche seri via via incontrati, ha raggiunto una propria “importanza” sia qualitativa che quantitativa, all’insegna di una ricerca stilistica volta alla definizione di quadri sonori “sospesi” ed evocativi dove colori tenui, occasionali pennellate spiazzanti e parole visionarie confluiscono in episodi intensi e surreali che hanno nei chiaroscuri una delle loro più fascinose caratteristiche. Passo dopo passo, il cantautore naturalizzato bolognese è adesso giunto a confezionare la sua prova globalmente più significativa, scrollandosi in parte di dosso quei pur intriganti eccessi di rarefazione e scoramento che rendevano un po’ ostico il precedente Splendore terrore del 2004. La malinconia rimane, questo ovviamente sì, esaltata dalla bellezza delle limpide trame acustiche immortalate in studio da Giacomo Fiorenza (una garanzia di qualità “estetica”), ma la principale differenza sta nel fatto che adesso l’uscita dal tunnel non è più una chimera: si sa che c’è, la si vede, mostra all’esterno sole e fiori. E non pare proprio che dalla direzione opposta ci siano treni in arrivo, anche se il sottotitolo – “tredici brani attraverso le sanguinose e infinite pianure dell’amore” – non è esattamente di quelli che inducano all’ottimismo.
Più estroverso e policromo, Moltheni sembra dunque guardare al domani con fiducia, forte di un’ispirazione accesa, della piccola, ulteriore spinta datagli dai cammei di alcuni ospiti illustri (Franco Battiato, i fratelli Ferrari dei Verdena) e soprattutto di quella che definiremmo “raggiunta maturità”. Riuscisse solo a essere un po’ più vivace, specie nel canto, sarebbe ancor più efficace nel suo ruolo di “anello di congiunzione” fra Lucio Battisti e il Manuel Agnelli più pacato e solenne.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.627 dell’ottobre 2006.
Se ben ricordo, è a ridosso di quest’album che lo incontro per l’ultima volta, a un house concert romano: rapporti cordiali come sempre. Sul Mucchio, i due lavori successivi sono recensiti senza esaltazioni o in modo sostanzialmente positivo da Aurelio Pasini (Io non sono come te, nel n.640 del novembre 2007) ed Elena Raugei (I segreti del corallo, nel n.651 dell’ottobre 2008): non ho nulla contro i due dischi, ma a scrivere troppo degli stessi artisti si rischia di ripetersi e dunque passo la palla. Il casino scoppia qui: Umberto (o qualcuno che ne cura gli interessi) “chiede” – non direttamente a me, o almeno così mi pare – la copertina del Mucchio. Non ricordo se con il direttore di allora si sia mai discusso della questione, ma ho la certezza che a far adirare Moltheni sia stato non tanto il rifiuto in sé quanto la concessione della prima pagina del numero di febbraio 2009 a Roberto Angelini, guarda caso romano come me: da qui le amenità a proposito di presunti “favoritismi per gli amici”, quando invece le scelte dei giornali dipendono molto più spesso di quanto si ritenga da bizzarri intrecci di circostanze. Del risentimento ci giungono però solo lontani echi, tanto che nel maggio del 2009, credendo che non esistessero reali problemi, lo invitiamo in redazione a eseguire davanti a una telecamera tre pezzi in acustico da caricare sul nostro sito. Lui rifiuta. Io mi stupisco e cerco di capire perché. Vengo a sapere qualcosa, ma non ci credo e decido di appurare. Il 14 luglio – lo so perché conservo tutta la posta – gli invio una mail con una cortese richiesta di spiegazioni. Lui replica in modo non proprio gradevole, non lesinando in accuse. Il succo del discorso? Siamo “marci” perché diamo le copertine a Carmen Consoli, agli Afterhours, a Beatrice Antolini e a Roberto Angelini… e non a lui. Possedendo notoriamente la pazienza di Giobbe gli scrivo di nuovo, ma lui ribadisce con rudezza le sue fantasiose teorie a proposito di cattiva fede e comportamenti impropri. Non lo mando a cagare, ma la chiudo lì.
Nel n.666 del gennaio 2010, evitiamo di ignorarlo come esplicitamente richiesto dal diretto interessato in una delle mail del luglio precedente, ma dedichiamo a Ingrediente novus – se ne occupa Pasini – una pur positiva segnalazione, come di norma facciamo per i nuovi dischi che non sono esattamente nuovi dischi o per i live. Ancora dispiaciuto per le “vecchie” incomprensioni, e fingendo di non aver letto una serie di (infamanti) dichiarazioni pubbliche nelle quali è citato anche il Mucchio, gli propongo un’intervista a “Stereonotte”, la storica trasmissione di Radiorai della quale sono all’epoca conduttore. Il suo management mi dà l’ok, ma due giorni prima del programma Umberto in persona, via mail, annulla l’impegno. Allibisco e provo a fargli cambiare idea. Non ho successo, ma non faccio polemiche.
Quando nel 2011 arriva l’album dei Pineda, non ho alcun problema ad ammetterlo, mi tolgo qualche sassolino dalla scarpa. Sarcasmo di grana grossa, ok, ma mettetevi nei miei panni.
Nel 2009/2010 Umberto Giardini ha dato l’addio (?) alla carriera come Moltheni, sputando veleno su tutto l’ambiente “alternativo” che, a suo avviso, non l’aveva sufficientemente sostenuto. Posto che chiunque può a) scegliere di rendersi ridicolo come preferisce e b) esaltare il concetto di “nuove frontiere della sfiga”, è però buffo che ovunque si associno i Pineda al ritorno del cantautore, quando nella band dei suoi ex gregari Marco Marzo Maracas (chitarra) e Floriano Bocchino (piano Rhodes) lui è impegnato come batterista. Rispettando il desiderio di “basso profilo”, si fingerà allora di ignorare chi siede dietro i tamburi e si dirà che i sei brani strumentali di questo debutto – già disponibile in vinile; il CD arriverà dopo l’estate – si collocano fra la tarda psichedelia e il primo progressive, lambendo a tratti il post-rock, certe aperture jazzy canterburiane, lo space-rock esotico alla Ozric Tentacles, il mondo delle colonne sonore. Insomma, musica di respiro vintage che, pur non svettando sull’agguerrita concorrenza di settore, rivela buona verve e sa offrire piacevoli suggestioni; e musica di nicchia che continuerà a far girare il nome di Moltheni, nell’attesa di una rentrée cantautorale per la quale i bookmaker pagherebbero talmente poco da rendere minimo il piacere della scommessa.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.684/685 del luglio agosto 2011
Si potrebbe ritenere che i toni della recensione – comunque più che positiva per quanto riguarda gli aspetti artistici – siano una specie di vendetta. Padronissimi di pensarlo, ma non è così: lo “sfottò” è invece figlio di una genuina irritazione per la farsa del ben noto ritiro dalle scene e del rapidissimo ritorno sulle stesse: parlano chiaro, in tal senso, i comunicati stampa che presentano i Pineda come “il nuovo progetto di Moltheni” (ma come, Moltheni non era morto per sempre?) e le foto promozionali dove l’Umberto ora batterista è in primo piano. Sulla rinascita come cantautore non nutrivo il minimo dubbio e non a caso lo avevo scritto al manager (sempre in una di quelle mail che conservo) all’epoca del (finto) addio. “Un paio d’anni e si ripresenterà a nome Giardini”, avevo pronosticato, non perché sia un indovino ma perché nell’ambiente certe cose sono impossibili da mantenere segrete.
Nell’attesa, colloco Splendore terrore in una lista commentata dei cinquanta migliori dischi del rock italiano del decennio 2001-2010 (Mucchio Extra n.37, inverno 2012), e quando giunge il momento del debutto di Umberto Maria Giardini non mi tiro indietro.
Alzi la mano chi si era davvero bevuto la favola del ritiro di Moltheni, annunciato quasi tre anni fa con ampio spargimento di accuse all’ambiente di insensibili e venduti che aveva avuto il torto di non riconoscerne appieno la grandezza. Nessuno? Normale. Ed è anche normale che l’oggi quarantaquattrenne songwriter e musicista marchigiano, dopo la parentesi nei panni di batterista dei Pineda, sia rinato come Fenice dalle ceneri, benché abbandonando il “progetto” (miodio!) con il quale aveva pubblicato ben sei album e presentandosi con la sua identità anagrafica: per lui la musica è una necessità imprescindibile così come tutto ciò che le fa da contorno in termini di gratificazioni personali, e l’eventualità di una rinuncia agli applausi e al ruolo di indiestar era credibile tanto quanto la buona fede del nostro penultimo Presidente del Consiglio.
Chiarita la nostra scarsa simpatia per il personaggio Moltheni (ooops, Giardini), rimane da dire dell’artista, che è di sicuro ben altra cosa: ispirato, intenso, valente nell’intessere una canzone d’autore italiana che ai riferimenti più o meno classici del genere preferisce soluzioni più singolari dove il canto fragile e sospeso, le strutture per lo più scarne ma a tratti accese di vivacità rock e la notevole attenzione per i particolari sposano una vena filo-psichedelica che affiora pure da testi ricchi di evocatività. Più estroso e meno plumbeo di alcune precedenti prove, La dieta dell’imperatrice non rinnega la tendenza del Nostro a guardarsi allo specchio (ritenendosi, naturalmente, bellissimo), ma il livello di scrittura e interpretazioni è elevato, il trasporto emotivo sincero e l’ibrido ottenuto combinando senza forzature il Lucio Battisti più sofferto, un Manuel Agnelli sedato e un John Frusciante non troppo eccentrico risulta più che convincente. Tra Moltheni e Giardini non è però cambiato molto, e ciò rafforza l’idea che abbandono e ritorno non siano stati null’altro che una trovata di marketing un po’ sfigato.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.699 dell’ottobre 2012
Scrivo insomma molto bene dell’album (tre stelline), che poi sarà anche fra i dodici migliori dischi italiani del 2012 per il Mucchio, ma – non provo nemmeno a negarlo – calco parecchio la mano con le prese in giro. Non per cattiveria, ma perché incapace di tollerare, più del ritiro “a tempo determinato”, soprattutto la boutade del “progetto Moltheni” dichiarata per giustificarsi di un Secondo Avvento – non c’è ironia, in questo caso: con Giardini in giro, la musica italiana ne guadagna – che poteva essere spiegato in altro modo. Poche fesserie, chiudere un “progetto” significa che al momento di rientrare in pista si faranno cose diverse da prima, non fondamentalmente le stesse. Moltheni era Umberto Maria Giardini, punto: bastava dire “ok, ho cambiato idea, due anni fa ero molto amareggiato ma ora ho recuperato energie e preferisco ripartire con il mio nome”. Quale “progetto”, Umberto… parli di continuo della mancanza di onestà e purezza, e poi te ne esci con roba così tanto palesemente fasulla che persino il più faccia di bronzo dei discografici major faticherebbe a sostenere? Va da sé che nella musica italiana vengono compiute nefandezze ben peggiori dei peccatucci veniali di Moltheni/Giardini. E va da sé che avrei anche potuto astenermi da commenti (ma non è forse dovere del buon giornalista quello di “leggere” ciò che vede?). Però, davvero, chi si erge a paladino della trasparenza e proclama l’abbandono per disgusto della falsità dell’intero ambiente nel quale si muove, non può permettersi simili uscite e sperare di farla franca. Significherebbe, oltretutto, speculare proprio sull’omertosa inclinazione al “quieto vivere” più volte censurata.
Naturalmente la recensione mi fa raccogliere un tot di ingiurie via Internet anche dallo stesso Umberto e non solo dalla sua claque di adoratori acritici, ma amen: storie già viste. Non pago, però, mi permetto di osservare su Facebook che un artista non dovrebbe utilizzare una risorsa come il crowdfunding offrendo ai propri fan prestazioni (non artistiche) che diventano via via più “di peso” a seconda del finanziamento offerto. Non sarebbe bastato fissare due o tre opzioni standard – esempio: 30 euro EP esclusivo autografato, 40 euro EP più biglietto per un concerto, 50 euro EP più due biglietti per un concerto – ed evitare videomessaggi e telefonate di ringraziamento, cene assieme per due persone o nomi nei credits del video? Caro Umberto, i 4.000 euro sarebbero giunti ugualmente e non ti saresti fatto ridere dietro da chiunque non sia tuo fan, e forse pure da qualche (ex) fan rimasto deluso dalla mercificazione a tariffe del suo amore per te. Sei un Artista, un artista autentico. Chi te lo fa fare, di esporti inutilmente al dileggio?
* * * * *
Comunque, sul serio, non ho impiegato svariate ore del mio tempo allestendo questo chilometrico post per gettare benzina sul fuoco. Anzi, è esattamente il contrario: l’obiettivo è chiarire, anche dimostrando in modo incontrovertibile di non “avercela” con Giardini/Moltheni ma non nascondendo di essere sbigottito da alcune sue azioni. Va da sé che lo spazio “commenti” è a disposizione per chi voglia dire la sua e/o abbia bisogno di (ulteriori) delucidazioni.
Postilla del febbraio 2015.
Una delle cose belle di Internet è poter integrare quello che si scrisse. E dato che questo post continua a essere letto, mi sembra giusto inserire anche il link a un mio articolo da poco pubblicato relativo al secondo album di Umberto Maria Giardini, l‘eccellente Protestantesima, disco che ho anche recensito sul numero di febbraio del mensile AudioReview. Con Umberto non ci sono stati contatti, ma io continuo a fare il mio lavoro.
http://music.fanpage.it/umberto-maria-giardini-rock-d-autore-a-testa-alta/
Scusi, avevo dimenticato di firmarmi. Il post di prima è mio
Vetusto, in termini anagrafici, di sicuro sì, ma per fortuna giovane nello spirito e attivissimo “sul campo”, come possono testimoniare centinaia di musicisti e operatori del settore. 🙂
L’unica cosa che poteva sembrare un “pistolotto” era il riferimento alla “non conoscenza” di quello che ho fatto, ma credo di essere stato frainteso. Il senso era “se conoscessi bene quello che faccio, sapresti che ho scritto benissimo di artisti che personalmente detestavo e malissimo di artisti amici”. Tutto qui. E i trentacinque anni venivano citati per spiegarti che di esempi di quanto sostengo ce ne sono parecchi, considerata l’anzianità di servizio. E comunque pure Umberto mica è un ragazzino, eh: ha solo otto anni meno di me.
Andare all‘arrembaggio non mi sembra un grande difetto, in un ambiente dove in tanti si limitano a copiancollare comunicati stampa e seguire bovinamente la tendenza del momento; per quanto riguarda il cerchiobottismo, a me sembra invece di essere stato, almeno nel caso specifico, piuttosto deciso, di aver assunto posizioni nette e oltretutto “scomode”. Cosa mi veniva in tasca, a scrivere che secondo me l‘Umberto ha fatto delle cagate?
Rispetto ai premi, è vero che il contributo non è obbligatorio; però ritengo anche di avere il diritto di affermare che rendersi disponibili per una cena in cambio di alcune centinaia di euro sia un atto di dubbio gusto, specie per un certo tipo di artisti. Poi, sì, è vero che Umberto è stato fra i primi a utilizzare la piattaforma, e con un video atipico, ma mi sfugge la ragione per la quale questo dovrebbe essere considerato un merito e non un’operazione di marketing finalizzata a ottenere un tornaconto.
Guardi che anche i più “distratti” trovano ampia documentazione sul suo operato, ad esempio nei numerosi banner del blog che rimandano ai suoi libri per Giunti e Arcana, solo per citare l’esempio più immediato ed evidente.
I suoi libri non li ho letti (in realtà quello dedicato a Carmen Consoli in parte sì) ma sulle collane, specie quella di Giunti, si potrebbero aprire discutibili parentesi. Ad ogni modo, prometto un approfondimento. Le farò sapere…
Riguardo al nostro UMG, come certamente saprà (visto che sa tutto prima degli altri, essendo un esperto giornalista) è in uscita un nuovo disco, tra pochissime settimane. Mi auguro le piaccia. Mi farebbe piacere, se lo ritiene, leggere una sua recensione priva di quel condizionamento umano che tanto la anima.
Guglielmi … ho letto con estremo interesse tutto quanto ma per quanto lei ci giri intorno ci sono alcuni elementi incontrovertibili
1) Giardini/Moltheni le sta sul cazzo
2) Avete dedicato una copertina a ROBERTO ANGELINI (autore forse meritevole ma macchiato dal peccato originale di un brano come “Gatto Matto”), non so se si rende conto…
3) La questione del ritiro / ritorno probabilmente non è stata gestita nel migliore dei modi, anche a livello di comunicazione. Ma non è certo frutto di una strategia di marketing.
4) Lei (come molti altri critici musicali, ben più noti) plaude agli amici e non valorizza (per non dire altro) artisti meno graditi. Ma questa strategia non paga ormai da molti anni. I miracolati come Bertoncelli (citato da Guccini in una canzone, se non lo sapesse) non vanno più di moda. E in diversi casi sarebbe meglio andassero pure in pensione.
Ciao, rispondo punto per punto, usando l’introduzione solo per obiettare che non mi sembra di avere “girato attorno” ad alcunché.
1. Anche ammettendo che sia così, tutto il materiale da me postato dice che, comunque, “sul cazzo” mi ci è andato da un certo punto in poi, e per una serie di comportamenti ben precisi.
2. Abbiamo dedicato una copertina a Roberto Angelini, sì. Che nella sua carriera ha commesso un errore, salvo poi redimersi con una serie di dischi irreprensibili. L’eventuale copertina mancata a UMG è stata, come ho cercato di spiegare, frutto di circostanze più o meno casuali e di tempi sbagliati.
3. Del “ritorno” ero informato da un pezzo, e l’ho scritto pure nella recensione dei Pineda. Forse non era un‘operazione di marketing vera e propria bensì un tentativo malriuscito di rendere credibile il ritorno, ma sinceramente questo mi sembra un dettaglio. Resta il fatto che quando ha detto “basta, me ne vado” già sapeva che sarebbe tornato. E molto presto.
4. Un’affermazione di questo genere dovrebbe presupporre una conoscenza molto approfondita della mia ormai trentacinquennale carriera giornalista, passata e presente. Conoscenza che certo non hai, perché se l’avessi non avresti scritto ciò che hai scritto. Comunque, andando a stringere, le mie “colpe” sarebbero un paio di recensioni un po’ pungenti, benché più che positive per quanto riguarda la valutazione artistica, e una copertina mancata (giusto per la precisione: quali giornali hanno messo in copertina UMG? Nessuno, credo). Questo a fronte di altre recensioni positivissime, un‘intervista e la copertina di un inserto, molte delle quali quando il Nostro era ancora “emergente”.
Sbaglierò, ma credo che la farsa del ritiro/ritorno e alcuni “premi” un po‘ grotteschi legati al famoso crowdfunding siano quantomeno altrettanto “gravi”, ma capisco che i fan sono sempre suscettibili quando qualcuno non condivide la loro idolatria. Fa parte del gioco, e non posso fare altro che adeguarmi alle regole.
Sui premi la polemica mi pare particolarmente inutile e pretestuosa. Chi vuole contribuire lo fa/ha fatto, chi non vuole non lo fa…
Personalmente non l’ho fatto: preferisco andare ai concerti e regalare un disco in più piuttosto che lasciare una percentuale a musicraiser.
Però, deve ammettere, che UMG è stato uno dei primi artisti ad utilizzare la piattaforma, con un video di lancio molto particolare, studiato a mio avviso proprio per far discutere.
Eviti i pistolotti sul “lei non sa chi sono io”, la fanno sembrare più vetusto di quello che probabilmente è. Arrembante e cerchiobottista come molti giornalisti musicali.
difficile trovare persone competenti su questo argomento, ma sembra che voi sappiate di cosa state parlando! Grazie
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Riporto senza commentare. Preciso solo che gli “scazzi” sono solo alla fine. Per tre quarti del mio post ci sono solo interessanti testimonianze d’epoca che, ne sono certo, ogni fan avrà gradito.
L’impressione che una persona obiettiva si fa di questa vicenda leggendo tutto è che lei, esattamente come Umberto Giardini, si sia legato al dito piccoli screzi del passato ma che a differenza del musicista (che al massimo può solo difendersi), potendo approfittare di una certa libertà d’azione sulla stampa, abbia tentato di screditarne l’operato negli anni. Credo che la reazione, da parte dell’artista e dei suoi fan, sia spontanea e assolutamente logica. Non mi risulta che il carattere di una persona sia così determinante nella carriera musicale di una persona da dover inserire per forza stralci di giudizio in ogni singola recensione. È più facile pensare all’accanimento.
Chi si permette di affondare sempre la lama nel personale non ha molto da dire su tutto il resto e di per sé già si dequalifica come critico musicale.
Questo intervento sul suo blog, a dirla tutta, sembra il classico tentativo di rammendo mal riuscito: ha provato a lanciare la bombetta su Fb ma le è andata male, perché al di là di persone che commentano per “sentito dire” o per sensazioni estetiche, un nutrito gruppo di persone le ha dimostrato invece che non è mai producente sparare a zero su una persona. Per questioni che dovrebbero essere di patrimonio di tutti, tra l’altro, e sulle quali non sarebbe affatto male si invitasse invece a collaborare.
I premi che UMG offre su Musicraiser ( http://www.musicraiser.com/it/projects/387-il-trionfo-dei-tuoi-occhi ) sui quali lei ironizza, sono principalmente occasioni di incontro tra persone che si stimano, e splendide possibilità di ringraziamento. L’opportunità di condividere una cena o di ricevere una telefonata sono gesti umanissimi che uniscono ancora di più l’artista ai suoi ammiratori, che legano proprio perché ci si sente parte di un progetto che prende forma grazie alla collettività. Mi è molto difficile credere che lei non se ne sia reso conto.
Infine, ma non per ultimo, chi conosce Umberto di persona non può non soffermarsi sulla sua straordinaria disponibilità e gentilezza, sulla sua trasparenza e sulla sua crescente bravura come musicista.
Mi auguro che lei sappia superare questo argomento finalmente senza livore. Ce ne accorgeremo però solo dalla sua prossima recensione. 🙂
A presto.
Sul Giardini musicista mi sembra di essere stato sempre prodigo di meritatissimi complimenti: è tutto lì nel (troppo lungo) post. E le recensioni nelle quali mi sono permesso qualche uscita sarcastica e/o denigratoria sono solo due, le ultime.
Peraltro, non so ormai quante volte l’ho ripetuto, un artista non può essere scisso dai suoi comportamenti pubblici, dal modo in cui gestisce i suoi rapporti con la sua carriera e il mondo che lo circonda. Ribadisco due sole cose: 1. nell’ambiente, che Moltheni sarebbe tornato due anni dopo come Umberto Giardini (il Maria non era in effetti previsto), lo sapevano tutti, ma proprio tutti, me compreso. 2. chiamare “progetto” l’esperienza Moltheni, come se fosse una cosa conclusa, fa ridere (ma mica solo me: fa ridere tutto il mondo musicale italiano a parte i fan), visto che fra il prima e il dopo non c’è alcuna sostanziale differenza: se invece di parlare di “progetti” avesse semplicemente detto “ci ho ripensato, ho deciso di tornare adottando il mio vero nome”, nessuno avrebbe detto una sola parola. È la storia del “progetto” che fa sbellicare dalle risate… ma, come ho già scritto varie volte, ciascuno è padrone di agire come vuole, allo stesso modo in cui chiunque è padrone di esprimere giudizi sul suo operato.
La storia della “bombetta” su Facebook, consentimelo, è persino più ridicola del “progetto”: ma davvero pensi che io, a quasi cinquantatré anni e con il mio vissuto alle spalle, abbia bisogno di queste trovate da circo, che per di più mi fanno poi perdere un sacco di tempo? Non cerco visibilità e, se anche per assurdo decidessi di cercarla, utilizzerei canali un po’ diversi da facebook, e argomenti di un po’ più ampia risonanza. Non confondermi con qualche pischello che volendo farsi un nome ricorre alle gazzarre internettiane.
Infine, credimi, nessun livore. Quello lo riservo per le questioni che mi feriscono davvero, non per queste piccole schermaglie da “gioco delle parti”. Intendo dire: metti che – solo un’ipotesi, eh – io avessi ragione sulla questione del ritiro… pensi che UMG potrebbe mai ammetterlo? Mai, perché farebbe una figura da peracottaro; quindi, è obbligato a ribadire la sua tesi e contemporaneamente a (cercare di) gettare ombre su di me per renderla più credibile. Storie vecchie come il mondo.
Grazie per l’intervento, “duro” ma corretto. La prossima recensione ti piacerà, se UMG farà un altro bel disco.
Dei progetti di Umberto Maria Giardini lasci però che a sollazzarsi siano gli ammiratori. Credo che per un giornale di musica sia più importante avere cura della parte musicale, che tra l’altro è ricca e interessante e sulla quale c’è poco da dire in termini negativi.
Non credo lei abbia cercato visibilità ma che inconsciamente sia ancora alla ricerca di una punizione per il musicista che in qualche modo ha un rifiuto nei suoi confronti. Forse è il caso di andare oltre, per il bene di tutti: il ridicolo, le assicuro, è molto soggettivo.
Buon lavoro.
Pensavo fosse chiaro che non è certo mia intenzione “accanirmi” contro UMG: insomma, quello che sentivo di dover dire l’ho detto. Non credo però volessi, consapevolmente o meno, “punirlo” (anche perché, dai, che punizione sarebbe?). Ammetto però tranquillamente di essere davvero dispiaciuto, sia per l’inatteso voltafaccia nei miei confronti, sia – soprattutto – perché trovo davvero ingeneroso inserire anche me nel tristissimo (anche se in parte realistico, eh) quadro della stampa italiana da lui dipinto. Poi, certo, mi viene da chiedermi: “ma se quella famosa copertina gliel’avessi data, nel 2005 o nel 2008, adesso sarei considerato uno dei buoni e non un marcio, un mafioso e tutto il resto?”.
Scenari futuri.
Elena Raugei rilancerà il Mucchio dedicando copertine a Moltheni e ai carinissimi perdenti dell’indie rock italiano.
Moltheni inciderà l’Avvelenata del 3* millennio e renderà Guglielmi il giornalista più famoso dopo Bertoncelli e Luzzato Fegiz.
Non mi toccare Elena, è la mia “allieva” che finora mi ha dato maggiori soddisfazioni. E poi lei detesta l’indiesfiga e tutto quello che gli gira attorno!
E UMG non avrebbe mai tanto cattivo gusto da citarmi in una sua canzone, non scherziamo.
Just kidding…
Lo so, lo so…:D
Io, a prescindere dal parere personale che ognuno può avere sul crowdfunding, non sono riuscita a vedere la benchè minima intenzione di screditare o parlare male di Moltheni/Umberto Maria Giardini dal post iniziale (quello su Fb che ha scatenato la bagarre). Ma tant’è che ognuno, in ogni cosa, ci vede quello che ci vuole vedere..
Non ci crede nessuno, ma quando ho postato quella cosa su facebook non avevo ancora nemmeno visto quali fossero le opzioni di finanziamento. Mi era solo arrivato il video promozionale della faccenda.
Però nelle ultime due recensioni che poi ho riportato sono stato abbastanza caustico, eh. Mica lo nego. Se nel mio lavoro non fossi almeno ogni tanto “impopolare” significherebbe che non so farlo come si deve.
Carissimi amici daccordo e non sul nostro aspro dibattito in corso in qsti gg.
Mi permetto di scrivere nel blog personale di Federico ribadendo solamente i principi per i quali io da sempre combatto senza avere peli sulla lingua. È esattamente questo il motivo per il quale sto sul cazzo a tutti, è risaputo: in Italia chi apre bocca e si incazza sulle stronzate altrui e’ sempre considerato un bugiardo, spesso un fuori di testa. Ma credetemi, a me non interessa, anzi lo tramuto in complimento; sono gratificato da come il mio apparire apparentemente ostile, faccia rabbia agli altri, intendendo per altri chi non “la racconta giusta” o chi si aggrappa agli specchi senza pero’ raccogliere nulla.
Tutta questa frenetica (ma chissa’ forse anche istruttiva) modalita’ di dare le proprie impressioni sui torti e le ragioni dello scontro, ci rende sciocchi, ma se non altro convinti di essere in buona fede. Io ribadisco e condanno in modo totalmente e consapevolmente trasparente cio’ che molti pensano ma che per convenienza e ipocrisia di interessi non denunciano, facendo finta di niente. L’editoria di settore gestita in modo subdolo e soprattutto “lecchino” ha stancato rendendosi troppo prevedibile e haime’ ..sgamata, anche se nessuno lo dice.
Credetemi, gli amici di merende sono gli stessi che nella politica, nello spettacolo, nello sport, nel lavoro e in tutte le numerose interfaccie della societa’ . Mangiano come tarma silenziosa le basi in cui dovrebbe poggiare una verosimilmente oggettiva professionalita’ nei giudizi.
L’inadeguatezza delle critiche rivolte a me e al progetto MusicRaiser ne e’ un esempio.. si ridicolizzano le ricompense rivolte alle persone che danno un contributo, quando dovrebbero essere invece considerate gesti cordiali, semplici e autentici. Cenare assieme agli amici durante
le date dei tour, ricevere una telefonata mia per un grazie all’aiuto rivolto alla produzione inviare il nuovo Ep a casa..ecc, ecc
sono solamente modi gentili per ringraziare, ringraziare, e nulla più. È pero’ poco ma sicuro che, se lo avessero fatto ( e in forma diversa l’hanno fatto..) altre band che conosciamo tutti, “amiche del Mucchio”, beh allora non si sarebbe mossa una piuma nessuno avrebbe detto niente, chissa’ …per distrazione 🙂 Mi chiedo poi, come sono stati ringraziati coloro che hanno salvato con il loro contributo la rivista “Il Mucchio” anni fa..mmhh?
“La calma di Giobbe” (sorrido..) appartiene a qualcun altro, fidatevi..era la stessa calma (per fare un esempio) con la quale anni fa venne accecato ed espulso Enzo Biagi dalla stessa amministrazione Rai .. e’ la stessa calma che in politica traspare nei rapporti della nostra classe dirigente, tra Veltroni e D’Alema, tra i leghisti e il PDL, tra i calciatori corrotti e i loro procuratori tra la Fiat e i lavoratori, tra Equitalia e la gente comune che lavora, tra le casse dello stato e i pensionati, tra la gestione dei soldi pubblici e le regioni terremotate che ancora aspettano. Direte voi, ma cosa centra tutto questo?? Questa e’ la stessa “calma” , vi prego riconoscetela, la calma della nostra societa’ italiana di oggi: che non esita ad affogare il proprio vicino di posto quando la nave affonda che mira lla’ dove c’e’ sempre in qualche modalita’ (poi) da riprendere
che chiude un occhio e scossa le spalle difronte alle vicende scorrette.
Forse sarebbe il momento giusto di fare una riflessione, anche per il bene de “Il Mucchio”. La direzione di un giornale dovrebbe essere affidata a qualcuno sia piu’ giovane, sia più consapevole e sereno/a. La gestione di una rivista che si occupa un po’ di tutto, è un lavoro probabilmente molto impegnativo che presumo necessiti anche di una visione nuova, più attuale più distaccata e soprattutto piu’ imparziale nei giudizi. Come dire più al passo coi tempi ma a quei tempi futuri che ognuno di noi sogna, non a quelli attuali, torbidi e spesso di parte. Elena Raugei collaboratrice da anni del giornale con la quale mi sono potuto confrontare giorni fa a Firenze, sarebbe una persona adattissima, a tratti a mio avviso perfetta. Alziamoci dalle nostre poltrone che odorano di vecchio, respiriamo aria nuova, tutti.. indistintamente, rendiamo e porgiamo al tempo cio’ che gli spetta in modo disinteressato. Guardiamo la realta’, per l’appunto anche quella del settore musicale, in modo nuovo imparziale. Questo e’ il mio consiglio spassionato a Federico Guglielmi anche se mi chiamo solamente Umberto e non Giobbe.Un saluto*
Potrei dire che il concetto – ti cito – “in Italia chi apre bocca e si incazza sulle stronzate altrui è sempre considerato un bugiardo, spesso un fuori di testa” potrebbe valere anche per me (nel senso che io evidenzio “stronzate” altrui e chi le ha commesse vuole farmi passare per bugiardo), oppure che l’esortazione – ti ricito – “alziamoci dalle nostre poltrone che odorano di vecchio, respiriamo aria nuova, tutti.. indistintamente” potrebbe valere anche per te in quanto artista. Però su quest’ultimo punto potrei anche darti retta: oggi mi ritiro, naturalmente dopo una bella filippica contro tutti gli artisti o sedicenti tali del panorama alternativo italiano… però domani ritorno come Guglielmo Federici e continuo a fare quello che facevo prima, dichiarando che trentaquattro anni di giornalismo come Federico Guglielmi erano un progetto.
Di qualsiasi altra questione, peraltro qui, fuori tema, ho già detto altrove e non una volta sola, quindi non starò qui a ricominciare da capo, tantomeno per difendermi da accuse personali che sono frutto di una fervida fantasia mista alla comprensibile frustrazione per essere un artista per (relativamente) pochi e non una stella più luminosa (ruolo che peraltro, non l’ho mai negato, meriteresti pure). Devo solo precisare di non essere né essere mai stato direttore del Mucchio, così come non sono né sono mai stato parte della società che lo pubblica. Non posso quindi dimettermi da una carica che non ricopro.
Caro Federico..
certamente che “alziamoci dalla poltrona” riguarda anche me, poltrona pero’ che come tu sai sotto al mio culo (pallido), non ho mai avuto. Certo che chi “apre bocca e si incazza spesso viene considerato bugiardo e fuori di testa” ingiustamente, puo’ riguardare anche la tua persona…ci mancherebbe
sono sicuro che nella tua vita, anche tu avrai affrontato battaglie che consideravi giuste.
Tuttavia ti assicuro che non sono assolutamente frustrato per non essere una stella del firmamento musicale italiano, firmamento di cui la tua rivista si occupa in modo puntuale, eccellente, ogni mese.
Felice di essere cio’ che sono, piccolo, quasi invisibile, ma soprattutto vivo, ancora in grado di reagire.
Mi congedo da te, da voi..anche perche’ oramai ho stancato davvero tutti
e me ne scuso 🙂
ciao* u
Tu non avrai poltrone ma almeno una seggiola sì… magari, come la mia, con tre sole gambe.
Anche io sono “piccolo, quasi invisibile e soprattutto vivo”: fossi stato marcio e paraculo come tu affermi, mi troverei in ben altra posizione. Anche io ho affrontato e affronto battaglie che ritengo giuste, e me ne infischio se non sono pienamente capite.
Però penso davvero che, se la musica italiana ha dei nemici, io non appartengo alla categoria.
hai fatto bene a chiarire, posto che mi sta un po’ sulle palle che un giornalista debba sempre giustificare qualcosa, come se davvero la rete “sovrana” dovesse sempre avere qualcuno da mettere alla berlina, anche se si tratta di chi, come te, fa questo mestiere con professionalità da più di 30 anni. Ho quasi tutti i dischi di Moltheni (mi vien da chiamarlo così, visto che come hai sottolineato c’è una continuità evidente tra i due “progetti discografici”, quasi una tautologia) ma non sono propriamente un suo fan. Diciamo che, avendo vissuto in prima persona l’epopea del rinascente rock tricolore dei 90, mi sono interessato anche alla sua produzione, pur trovandolo a tratti eccessivamente ostico. Non lo conosco come persona, ma un caro amico che lavora a Popolare ne parla un gran bene, condividendone le scelte. In mezzo a tutta questa vicenda, dico, avendo letto la tua campana, che tu ti sei sempre limitato a evidenziarne pregi e difetti da un punto di vista prettamente artistico – tra l’altro spendendo nel complesso più di un giudizio lusinghiero – concedendo poco o nulla a giudizi sulla persona. Se il tutto è nato in effetti da una copertina richiesta e mai concessa, allora mi sembra che sia lui nella parte del torto. Ricordo tuttavia che la copertina ad Angelini fu contestata da diversi lettori, ma non si sapeva con chi Roberto se la fosse giocata.. e anche fosse, va beh, amen. All’epoca dell’ex direttore, mettevate le copertina scartate nella seconda pagina e quasi sempre erano le mie preferite 🙂 Sulla vicenda fundrising mi tengo a distanza, ho già polemizzato, mio malgrado, sin troppo in rete, sin da quando intervistai sull’argomento un artista mainstream come fu Daniele Groff. Secondo me è uno svilimento della musica, ma se questo è il futuro della musica, che si aprano le porte a ogni bizzarra richiesta del cantautore indie di turno. Un saluto
In realtà, in quel famoso numero del febbraio 2009, doveva andare in copertina Morrissey. L’intervista non si riuscì a fare, e allora si dovette scegliere uno degli artisti trattati all’interno, dei quali avevamo già in mano gli articoli. L’ex direttore puntava su Le Vibrazioni, ovviamente osteggiati da tutti, o in alternativa su Dente, che sarebbe pure andato bene ma che non era sorretto da un servizio interno del giusto spessore (l’intervista, peraltro firmata da me, non era brillante come si sarebbe voluto). Il resto dello staff era compatto a favore di Angelini, che infatti si face fare la foto in tempi rapidissimi rimanendo piacevolmente stupito della nostra decisione. Confermo che di una possibile copertina a Moltheni non si è mai parlato; quasi sicuramente, se fossimo stati ancora settimanali, gliel’avremmo data ai tempi di “Splendore terrore”. E magari tutto questo casino non sarebbe successo.
La tua penna è un pò cattiva.
Alle volte, in effetti, mi vengon fuori commenti un po’ pungenti. Però, limitandoci a UMG, non credo si possa negare che abbia scritto soprattutto cose belle…
Infatti, non è piaciuto neanche a me. La professionalità questa sconosciuta.
Non so esattamente a cosa tu ti riferisca, ma di qualunque cosa si tratti credo che convivere con cose che non ci piacciono sia purtroppo inevitabile.
Mi riferivo a questo commento:
Anonimo
posto che solo lei e umberto sapete veramente cosa è successo,non riesco a capire cosa vuole dimostrare con questo post.Non mi è piaciuto per niente leggere in una recensione musicale le opinioni personali sulla persona.Doveva recensire il disco e dare solo un’opinione musicale a mio parere.
Premesso che rispondere “credo che convivere con cose che non ci piacciono sia purtroppo inevitabile” è facile e di una pochezza devastante, la professionalità alla quale mi riferivo è la sua.
Ah, ok, scusa. Alle volte i commenti del blog si confondono, ora posso risponderti come si deve e non, come giustamente mi fai rilevare, con qualcosa di troppo generico oltre che retorico. Per come la vedo io, un artista è un “tutto” composto dalle sue canzoni, dalle sue caratteristiche stilistiche, dal suo modo di porsi in pubblico a tutti i livelli. Quindi, se un pur bravissimo artista si comporta pubblicamente in modo a mio avviso discutibile, “criticarlo” fa parte dei miei compiti professionali. Nella seconda recensione, per esempio, scrivo esplicitamente di “antipatia” nei confronti del PERSONAGGIO Moltheni/UMG, ovvero in quello che lui mostra con dichiarazioni e comportamenti sempre PUBBLICI. Non mi permetterei mai e poi mai di esprimere opinioni su fatti che riguardano la sfera privata sua o di chiunque altro.
Mi piacerebbe molto, però, capire perché a me dovrebbe essere concesso parlare solo di dischi mentre a UMG sarebbe invece consentito esprimere pareri estremamente caustici sulla scorrettezza della stampa in genere (e mia in particolare). Lui, oltretutto ben prima che io mi pronunciassi su falsi ritiri e discutibili pratiche di crowdfunding, poteva accusarmi di essere marcio e venduto, di favorire gli amici e di affossare la buona musica italiana? Avrebbe allora dovuto criticare solo la qualità della mia prosa o la mia competenza sugli argomenti dei quali mi occupo… no?
Però, certo, capisco che attendersi piena obiettività dai fan di chicchessia è una battaglia persa: ai loro occhio, io sarò sempre dalla parte del torto.
Io non sono fan di nessuno, ha perso un’altra occasione. Non vale la pena di continuare, saluti.
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Ho letto il pezzo, mi sembra equilibrato. Però… non pensi che se – per amor del quieto vivere – avessi evitato di scrivere certe cose, sarei stato in qualche misura omertoso e avrei quindi dato ragione a UMG sulla pasta della quale sarebbero fatti i giornalisti?
Non essendo un tipo vendicativo, non amando le polemiche (che oltretutto fanno perdere un sacco di tempo) e non avendo alcun bisogno di pubblicità personale, cos’altro avrebbe potuto spingermi a stigmatizzare certi comportamenti se non la voglia di far bene il mio lavoro, che non è solo quello di recensire dischi e fare interviste o retrospettive ma anche quello di analizzare quello che succede nell’ambiente della musica? Dici tu stesso che la storia del “finto ritiro”, da me stigmatizzata, fa ridere: non avrei dovuto farlo io? E mi sarebbe precluso scrivere che offrire videomessaggi, telefonate di ringraziamento, cene e credits in cambio di soldi mi sembra una cosa triste? Insomma, dovevo star zitto per non incorrere nell’ira funesta di UMG?
Ciao Federico, sono Sebastiano, ovvero l’autore del post. Come giustamente mi fai notare, analizzare ciò che accade nell’ambiente musicale è il tuo lavoro, e dall’alto della tua carriera e della tua, legittimata, autorità in questo campo, puoi dire e fare tutto quello che vuoi. Premesso che la faccenda del crowdfunding e del ritiro/ritorno di Giardini facciano ridere (sebbene il disco sia molto bello, e come dici tu la presenza di Giardini fa solo che bene alla musica italiana), il mio “Me la vado a cercare” è riferito alla risposta che UMG ha dato sul suo facebook (e alle mail che ti ha inviato, i rifiuti, eccetera): non credi che il buon ex-Moltheni abbia un comportamento da BAMBINO? Solo il fatto di leggere la risposta sul suo profilo, leggere dei rifiuti all’ultimo minuto, ingiurie per la recensione… Il mio “Me la vado a cercare” è più un: non ti sembra di perdere tempo, sapendo che le sue reazioni saranno così ridicole e esagerate? I suoi comportamenti spesso sembrano “Uee mamma, Federico mi prende in giro”, e va a cercare conforto nei fan, senza capire, magari, che nella vita si può anche sbagliare. Come hai giustamente scritto, sarebbe stato molto meglio da parte sua ammettere di aver voluto tornare sui propri passi e riprendere il progetto da dove era stato interrotto, anche se cambiando nome. Le storie di RINASCITA, NUOVO PROGETTO, depistano e non sono altro che falsità, così come le ricompense per il crowdfunding (che comunque limiterei ai soli album o ep, almeno per artisti già affermati come lui, e non anche ai video musicali, che oltretutto non vengono considerati quasi più da nessuno). Con questo cosa voglio dire? Che, secondo me, è inutile dare tutta questa attenzione alle sue bizze, che altro non sono che capricci da bambino: lasciamolo perdere, ci sono così tanti altri artisti di cui parlare! E torniamo a badare a UMG quando ci sarà nuova musica (dovrebbe uscire un ep tra poco, mi pare…), dando il nostro giudizio solo su essa. Tu giustamente affermi che bisogna parlare anche di tutto ciò che circonda la musica, ma non potrai non affermare che un po’ sapevi a cosa andavi incontro parlando in quel modo negativo del suo progetto crowdfunding e lanciandogli quelle frecciatine (che ho letto con gusto) sulla recensione del Mucchio. Non parlo di “ira funesta”, ma di frustrazione che, esternata da quello che comunque è un pezzo grosso dell’indie nazionale, rischia di portare polemiche che, anche se non volute, danno noia e fastidio.
P.S.: non sono un giornalista musicale, scrivo recensioni e articoli sul mio blog giusto per il gusto di farlo, dato che la musica è la mia più grande passione. Scusa per la lunghezza dei miei post, ma non sono bravo ad argomentare come i veri giornalisti, e mi sento anche un po’ in soggezione perché hai già letto il mio post e leggerai questo commento. No, non è paraculaggine ma solo timidezza (e anche un po’ di riverenza). Buon lavoro, Federico!
Immagino che scrivendomi queste cose sapevi bene che ti saresti cacciato in un casino. Pubblico quindi il tuo commento, che per un po’ ho tenuto in stand-by proprio perché indeciso se “salvarti”.
Io quel che dovevo dire su UMG l’ho detto, non ho nulla da aggiungere. Ho ritenuto di commentare il suo operato perché lo ritengo un grande artista, se fosse stato un mediocre avrei evitato… così come penso che se quello che ho scritto io fosse stato firmato da qualcuno meno “di peso”, molto probabilmente non l’avrebbe filato nessuno.
secondo me fin qua avevi fatto bene e lui anche. cioé è una storia lunga come quella della storia della musica. lo scazzo tra giornalisti e musicisti. poi va beh, umberto è una persona meravigliosa, ma è sempre un po’ incazzoso con il mondo, come fiumani ad esempio e se tu butti benzina sul fuoco sai a cosa vai incontro. ora questo post mi sa tanto di giustificazione, cosa che un professionista non dovrebbe fare secondo me. ha il sapore di ” lui è stato piuù cattivo di me e io in fondo gli voglio bene”. ma che roba è? dai federico! lui ha la possibilità e la capacità di scrivere musica e dire quello che pensa attraverso questa, te in quanto giornalista hai la possibilità e la capicità di scrivere recensioni, articoli e interviste e dire ciò che pensi attraverso di queste. insomma in tutto questo dov’è il problema? se ribadisci, mandando per le lunghe la questione, che un problema c’è, beh allora secondo me infici il tuo ruolo. tu lo stai facendo, non lui.
Sono stato infatti parecchio dubbioso, se allestire o meno questo lungo post: ero consapevole del rischio che potesse apparire come una “giustificazione”, cosa che proprio non volevo perché non ritengo di avere nulla di cui giustificarmi. Purtroppo la tendenza generale del pubblico (e non solo) è di ritenere che alla base di qualunque polemica artista-giornalista ci siano sempre e solo questioni private/personali e non semplice e spesso salutare diritto di critica di comportamenti pubblici. Per esempio, se io stronco un disco di qualcuno, il 9 casi su 10 c’è gente – titolare del disco compreso – che si chiede, e chiede, “ma cosa gli abbiamo fatto?”, come se fosse fuori dal mondo ritenere che un disco faccia davvero schifo e scriverlo a chiare lettere. So bene che UMG è, come dici tu, incazzoso, ma questo non può essere un buon motivo per astenersi dal commentare – ironicamente, seppure con una certa pesantezza – suoi comportamenti – pubblici, lo ribadisco – a mio avviso censurabili. L’avrei fatto lo stesso anche se non lo avessi mai conosciuto di persona, e se non ci fossero state certe incomprensioni: non solo con mem ma con tutto un ambiente sul quale ormai da anni UMG spara a zero. E poi lamentarsi quando qualcuno gli ricorda che solo chi è senza peccato può scagliare la prima pietra.
Ritrengo il comportamento di UMG ingiustificabile.
Ed è uno di quei casi in cui non si può nemmeno dire: “sentiamo però la sua versione dei fatti”. Perché a parlare sono: a) le recensioni che nel complesso sono positive; b) l’invito al live nella redazione del mucchio; c) la richiesta dell’intervista per Stereonotte”; d) l’nserimento di “Splendore terrore” nella lista dei 50 dischi italiani degli anni 2000; e) la collocazione de “La dieta dell’imperatrice” tra i migliori album italiani del 2012.
Penso che possa bastare per avere un’idea non distorta della faccenda.
Manco un “raccomandato” avrebbe tanta attenzione.
Per me la soluzione è molto semplice: l’uomo non sempre coincide con l’artista e questo è uno di quei casi.
Sull’opzione della cena a 200 euro, poi, per finanziare un video…
Vabbè, uno se lo cerca proprio di essere spernacchiato.
Trovo che questo post nulla aggiunge a ciò che già era di dominio pubblico e cioè cosa lei scrisse in passato (il più remoto e il più recente) sui lavori di Moltheni/Pineda/UMG, recensioni che inevitabilmente (data per certa la sua conoscenza dell’argomento e professionalità) sarebbero state positive. Devo darle atto del tentativo finale di ammorbidire i toni, qualora fosse sincero, ma ciò non offusca le opinioni sulla persona che certamente ha espresso, gratuite in quanto non circostanziate da una “spiegazione” che arriva solo ora. E che a me sembra comunque insufficiente e addirittura fuorviante considerando che il nocciolo della questione, al di là delle incomprensioni personali ( e voglio sottolineare personali) che possono esserci state fra di voi, resta ben altro: lei ci indica la luna, signor Guglielmi, ma è una luna di cartapesta. E per di più il suo dito è un po’ storto.
La cito: “Meriterebbe il successo su ben più vasta scala, fuori dal piccolo e sfigatissimo giro indie, ma purtroppo ciò non succede.”
Avrebbe dovuto aggiungere: ” oh, mondo crudele!”, allora si che sarebbe stato credibile.
Continuo a sostenere che esistano differenze sostanziali fra esprimere un’opinione denigratoria su una persona (dicendo, per esempio, che è… boh, ladro, puzzolente, falso e cose simili) e commentare – da giornalista – i comportamenti pubblici, di un personaggio pubblico, che si ritengono poco consoni con l’immagine che il personaggio vuol dare di sé. Fai conto… se io sottolineassi continuamente la mia eventuale perfetta conoscenza della lingua italiana, e poi pubblicassi un articolo pieno di strafalcioni che nemmeno in seconda elementare, certo non potrei lamentarmi se qualcuno me lo facesse notare prendendomi un po’ in giro.
Per il resto, non vedo perché non dovrei essere sincero: per quale motivo avrei mai dovuto espormi in questo modo, impiegando un sacco di tempo che nessuno mi pagherà, se non per una questione di principio? Per dire, serenamente, “non è che una mattina mi sono alzato pazzo e ho deciso che dovevo cantarle a UMG: dietro c’è una lunga storia”. Poi, è logico, ognuno può vederla come vuole e io mi assumo tutte le responsabilità delle mie affermazioni. Non sono infine sicuro di aver capito bene cosa intendi con l’ultima frase, ma io sarei davvero contento se UMG avesse un successo ben più rilevante. Magari così sarebbe anche più sereno e meno polemico nei confronti di quell’ambiente che tanto disprezza.
Mi sta dicendo che dovremmo dar per scontata la sincerità delle sue parole solo in virtù del fatto che nessuno l’ha pagata per esercitarla? Interessante.
Se provasse a considerare i principi diversamente da una perdida di tempo che raramente si concede, avrebbe di certo capito il senso della mia ultima frase.
Mi chiedo a questo punto per quale motivo faccia questo lavoro da 30 anni se lo considera così inutile, se fossi una sua collega mi sentirei offesa dalla sua opinione in merito all’utilità delle recensioni. Ma sono soltanto un’insignificante fruitrice di musica quindi non è certo da me che apprenderá l’importanza dello scrivere di musica, come di qualsiasi altro argomento che riguardi la cultura di un Paese.
Ma no, non ho pretese che la mia sincerità sia evidente a tutti: magari a qualcuno lo sarà e ad altri no, è la vita, ma non mi pongo proprio il problema. L’importante è che io sappia di essere sincero, non mi troverei a mio agio con me stesso se non lo fossi.
Rispetto al valore delle recensioni sulle riviste… beh, un tempo contavano molto di più, mentre oggi, con la quantità esagerata di informazione (buona e cattiva) che circola, il loro peso si è parecchio ridimensionato. È un dato di fatto, e i miei colleghi lo sanno tutti benissimo.
http://www.rockit.it/intervista/19393/crowdfunding-e-polemiche-il-caso-musicraiser
questo tanto per sentire anche la voce di uno dei diretti interessati…
Avevo già chiarito altrove, ma almeno così lo faccio anche qui, che il problema non è nello strumento crowdfunding ma nell’uso che se ne fa. Nella parte finale del mio post dico anche chiaramente in cosa, secondo me, UMG ha sbagliato. Anche se non è stato né sarà l’unico a farlo.
Lei fa il giornalista, non basta che sia a posto con la coscienza fra le sue quattro mura.
E i dati di fatto, come li chiama, non spuntano dal nulla come i funghi, ma soprattutto non sono verità incontrastabili a cui piegarsi e con le quali giustificare la propria incapacità.
Mi sento a posto, e non solo nelle mie quattro mura, perché so di aver scritto quello che penso e che ritenevo giusto scrivere. Non vedo, almeno in questa vicenda, mie “incapacità” da giustificare, e rispetto all’importanza che hanno oggi le recensioni su carta… beh, contano meno di un tempo. Non ho alcun interesse a dirlo, anzi, ma è davvero così (ne scrivo anche nell’introduzione un altro mio vecchio pezzo presente in questo blog, quello sui Gang).
Quando ho detto incapacità mi riferivo a quella riguardante l’hobby più amato dagli italiani, l’ignavia,”le cose vanno male, sono così, non possiamo farci niente.”
Ma mi rendo conto, dalle sue risposte, che cercare un dialogo con chi ha una visione egocentrica di ogni problema e il cui senso dell’ingiustizia si limita alle ricompense decise per un crowdfunding (decisione che per altro nulla ha a che fare con il lato artistico e musicale del quale lei si occupa) è un dialogo a senso unico.
Saluti.
Beh, oddio… mi sembra di aver comunque scritto parecchio, di Moltheni/UMG. Come ho già detto, nel 2005 gli avremmo probabilmente dato anche la copertina, se non ci fosse stato il cambiamento della periodicità da settimanale a mensile, con conseguente rettifica di linea editoriale (e il giornale non era né è adesso mio: insomma, non è che posso fare proprio come voglio, a qualcuno devo rendere conto).
Mi dispiace che non riusciamo a comunicare in modo più sereno, ma è evidente che il tuo atteggiamento è figlio di un preconcetto, di un giudizio a monte. Che trovo comunque perfettamente comprensibile, sia chiaro.
E quale sarebbe il preconcetto e il giudizio a monte che dice di aver compreso?
sono 4 post che cerco di portare il discorso su un ragionamento più ampio e lei ritorna a bomba sulle sue scaramucce private…è davvero una fissa la sua! 🙂 o è solo che con il gossip si vince più facile? mah! Mi sa che se qualcuno qui ha problemi di serenità e comunicazione non sono certo io…
Il preconcetto e il giudizio a monte sarebbero i tuoi nei miei confronti: insomma, che io sia fondamentalmente uno stronzo. 😀
Proviamo a uscire da questo cul de sac? Azzeriamo tutte le nostre chiacchiere finora e tu mi rivolgi una o più domande “ampie” alle quali io giuro solennemente di rispondere, senza “gossip” (ma quale sarebbe, il “gossip”? Spiegare perché non si è potuta fare una copertina?).
Ho ricevuto un commento da “Samantha, ovviamente con l’acca” che esprime considerazioni fuori tema e non proprio simpaticissime nei confronti di UMG. Non mi piace censurare, me non posso approvare commenti “sconvenienti” che provengono da anonimi. Quindi, se qualcuno vuole proprio scrivere cose sconvenienti, deve qualificarsi. Grazie.
La storia sa un po’ di “Mamma! Ciccio mi tocca…”: in generale gli artisti – o presunti tali – vorrebbero, pretenderebbero, che la stampa li prenda in considerazione (ambendo ciascuno ogni volta a termini miracolistici, naturalmente); poi però quando la stampa si esprime, poi immancabili – pubbliche o private, per un motivo o per l’altro – arrivano le lamentele di lesa maestà o infida incomprensione.
Non entro nel merito personale, professionale o artistico delle due parti in causa ma – dopo essermi sorbito tutto il romanzo – mi permetto di segnalare quello che credo sia il punto debole, l’equivoco di fondo delle faccende di questo tipo: ma una recensione, anche fosse la più entusiastica e apparisse in contesti media non proprio di nicchia, può determinare in qualche modo il successo della proposta?
Immaginando che neanche il recensito più incazzato pretenda di limitare il diritto di espressione, che danno può mai causare (se non la remota ipotesi di rompere le autobenevole immagini di sé stessi) confrontarsi con il parere di un’altro?
Beghe da condominio.
Secondo me, al giorno d’oggi, una recensione non determina un bel niente, anche se è firmata da un giornalista riconosciuto come autorevole. Però gli artisti se la prendono a morte, tutti o quasi, quando se ne scrive male; se sanno stare al mondo, lo accettano e magari cercano un confronto con l’autore della critica, mentre se non ci sanno stare si producono in scene da primadonna. Nel caso specifico la faccenda è ben più complessa: tutto è partito, come ho scritto con la massima chiarezza, sul finire del 2008… solo che lì non c’era di mezzo nessuna recensione negativa.
posto che solo lei e umberto sapete veramente cosa è successo,non riesco a capire cosa vuole dimostrare con questo post.Non mi è piaciuto per niente leggere in una recensione musicale le opinioni personali sulla persona.Doveva recensire il disco e dare solo un’opinione musicale a mio parere.
Più che dimostrare qualcosa, volevo fornire un quadro quanto più ampio possibile, in modo che chi fosse interessato a farsi un’idea più precisa della vicenda avesse davanti la luna E il dito (poi, certo, potrebbe comunque scegliere di guardare il secondo, ma magari no). Non mi sembra di avere espresso opinioni “sulla persona” (opinioni che sono state invece espresse nei miei confronti da Umberto), ma solo su comportamenti del “personaggio pubblico” a mio avviso (e non solo mio: un giornalista deve anche cogliere quello che vede/ascolta, e interpretarlo) sconveniente. Grazie dell’intervento.