Il 14 luglio del 1912 nasceva il “papà” di un numero quasi infinito di musicisti che tutti noi amiamo. Lo ricordo con la recensione di un bel libro, ancora in catalogo e per di più in collana economica. Da conoscere.
Le canzoni
di Maurizio Bettelli
(Feltrinelli)
In netto contrasto con la consuetudine che lo vuole spessissimo citato e magnificato, Woody Guthrie è in realtà ben poco noto. Certo, chiunque ha consapevolezza del ruolo fondamentale da lui rivestito nell’epepea della musica popolare americana, tanti lo hanno inquadrato grazie a “eredi” quali Bob Dylan, Bruce Sprigsteen, Clash e Billy Bragg, altri ricordano la sua equazione chitarra = macchina ammazzafascisti e taluni ne hanno addirittura ascoltato qualche brano non sotto forma di cover, ma è sensato ritenere che la conoscenza (pur relativamente) approfondita del suo percorso umano e artistico sia appannaggio di pochi cultori del folk e della cultura d’oltreoceano. A dispetto dell’autentica leggenda che ammanta la sua figura di musicista vagabondo e agitatore sociale, Guthrie non sembra, insomma, attrarre; e la colpa, se così si può dire, è probabilmente delle sue canzoni, tanto ricche sul piano poetico e dei contenuti quanto scarne sotto il profilo strumentale e aspre nella voce. Canzoni che sanno di polvere, come quella delle tempeste che flagellavano il sud degli States nel 1935, ispirando l’allora ventitreenne Woody.
Quindi, ok: è legittimo essere poco ricettivi al fascino del minimalismo ruvido e persino monotono dell’hobo di Okemah, ma non lo è ignorarne lo spessore letterario e storico. Per risolvere il problema, magari assieme a un’antologia (si consiglia la recente This Machine Kills Fascists della Snapper/Halidon, sessantasei pezzi divisi fra tre CD) funge alla grande questa antologia – non una “integrale”, dunque, ma piuttosto esauriente – di testi tradotti con originale a fronte, ovviamente corredati di brevi saggi esplicativi e note a margine: un lavoro di 320 pagine puntuale fino al rigoroso, ma non per questo pedante e – anzi – avvincente, al quale la “premessa” di Nora Guthrie, figlia di Woody, conferisce la patente di ufficialità. A parte la (giusta) celebrazione dell’artista, dell’attivista e dell’icona, lo scopo è anche – secondo l’ottimo Bettelli – “mantenere vive le voci di quei personaggi con la speranza che i loro racconti ci aiutino a tener desto il nostro senso di indignazione”: cosa della quale, purtroppo, c’è sempre un dannato bisogno.
Tratto da Mucchio Extra n.31 della Primavera 2009