Elio e le Storie Tese

Oggi la situazione è molto cambiata, ma negli anni ‘90, scrivere in termini positivi degli Elii non faceva affatto figo, anzi. E loro, che comunque riscuotevano rilevanti consensi di pubblico, ripagavano la stampa cazzeggiando in modo più o meno spudorato. Insomma, un’intervista lunga e soprattutto seria con il gruppo milanese non esisteva, e se anche esisteva chissà dov’era (Internet non era proprio come adesso). Pensai allora che potesse essere una buona idea “barattarla” con una copertina del Mucchio, ai tempi settimanale, e lo scambio andò in porto.

Elio copL’intervista “seria”
Dopo i Beatles, i Pink Floyd e Orietta Berti vennero gli Elio e le Storie Tese: fenomeno di successo, fenomeno di cesso, ma sempre fenomeno era”. Temessimo le conseguenze della nostra scelta (mi sembra quasi di sentire le solite voci di dissenso: “cosa ci fanno questi buffoni sulla copertina di un giornale serio come il Mucchio?”) avremmo utilizzato l’intro parafrasata dagli Squallor a mo’ di (parziale) giustificazione, giocando sul fatto che una rivista degna di tal nome ha il preciso dovere di indagare ed informare su tutto ciò che di rilevante – e le vendite dell’ensemble milanese rientrano certo in tale categoria – accade nella sua sfera di interesse. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, invece, riteniamo che lo spazio da noi concesso agli Elio e le Elio e le Storie Tese sia una sorta di ammenda per l’atteggiamento generalmente snob adottato nei loro confronti da una “kritika rock” portata a sottovalutarne le doti. O, magari, a non considerarle come tali perché accecata dalla pittoresca esteriorità (soprattutto verbale). Il sottoscritto, che non ha vergogna a dichiararsi appassionato estimatore del gruppo dall’epoca della prima versione di Born To Be Abramo, ha dunque pregato Elio, Rocco Tanica e Faso – in verità non troppo convinto che ciò potesse davvero avvenire – di risparmiargli l’abituale teatrino del cazzeggio spontaneamente recitato a beneficio dell’intervistatore di turno. Incredibile a dirsi, il terribile trio ha accolto la richiesta, limitando le facezie al minimo indispensabile e fornendo risposte illuminanti (e spesso pungenti: qualche sassolino dalle scarpe volevano toglierselo pure loro) a ogni quesito. Eccovi il sintetico ma fedele resoconto dell’intervista, volutamente svincolata dall’attualità nonostante il pretesto per effettuarla sia stata la recente uscita della semi-antologia Del meglio del nostro meglio Vol.1.
A mio parere, Elio e le Storie Tese sono apprezzati anche per i motivi sbagliati, nel senso che solo una piccola fetta del pubblico si rende conto di quanta attenzione, quanto lavoro e quanto “genio” si celino dietro le vostre cazzate. La cosa non vi disturba?
Mettiamola così: l’associare le cazzate alla buona musica è stata una scelta consapevole fin dall’inizio. Sapevamo, cioé, che avremmo dovuto affrontare questa dicotomia, e quindi ne accettiamo senza troppi problemi anche i lati meno positivi. Quello più negativo in assoluto è appunto l’essere considerati cazzari, gente che dice cazzate anche divertenti ma che non può essere presa sul serio come accade ad altri che magari suonano meno bene di noi ma che interpretano la musica come una cosa sacra. Per l’ascoltatore e l’acquirente di dischi, e in definitiva persino per noi, il rock ha questo valore particolare che non sempre è il caso di attribuirgli, anche se è bello viverlo come una vera e propria Fede. Anche noi, del resto, ci accostiamo con una certa venerazione ai nostri “miti” quali Genesis, Beatles, Zappa o James Taylor.
Magari dipende dal fatto che certi artisti li si è “vissuti” in un periodo atipico come quello adolescenziale.
Può essere. Da parte del fan c’è la tendenza ad affezionarsi non tanto alla canzone o all’artista quanto invece al ricordo che si ha di sé stessi all’epoca di quegli ascolti. Da un lato, dovendoci suonare assieme, noi tendiamo a trattare uno James Taylor con un misto di rispetto e timore, perché in qualche misura ci sembra di rovinare l’impressione che ne abbiamo avuto in origine e che da sempre conserviamo gelosamente; d’altro canto, ci capita anche che nostri fan di vecchia data denuncino un nostro presunto calo di contenuti rispetto al passato.
Non sarà anche che il pubblico più anziano è dispiaciuto del fatto che non siete più un patrimonio di pochi intimi?
Quello sì, ma c’è anche un altro aspetto: quando si razionalizza l’idea di aver individuato qualcosa che ci piace, è come sintonizzarsi sulla frequenza sulla quale l’artista, in quel momento, sta trasmettendo. E’ ovvio che il percorso di chi per un anno intero sente sempre lo stesso disco non può essere parallelo a quello dell’autore: lui prosegue nella direzione anche nuova indicatagli dall’istinto o dal ragionamento, mentre una buona fetta di pubblico vorrebbe ritrovare in un disco nuovo le stesse cose che apprezza in quello che già possiede.
Salvo poi arrabbiarsi perché “è sempre la stessa roba”…
Anche, ma questo non vale molto per una scena italiana dove sostanzialmente si replicano in eterno gli stessi pochi piatti che hanno mostrato di poter funzionare. Il fan evoluto, al contrario, evolve con te, nel senso che non spera in una “versione 2” del vecchio album ma desidera scoprire cosa gli vuoi proporre. Siamo in ogni caso assolutamente certi che, se un giorno decidessimo di cambiare in modo deciso, perderemmo moltissimi fan.
Comunque, per tornare all’argomento iniziale, non mi avete ancora detto se soffrite della vostra fama di cazzari.
Compresa la situazione generale, abbiamo cercato di migliorarci e di capire chi merita rispetto e chi no, così come chi ha successo per motivi casuali o, a nostro avviso, non validi. Ascoltare Zappa, in questo senso, è stato un grande aiuto. La risposta alla tua domanda, comunque, è no, anche se troviamo ingiusta – ma il discorso potrebbe esulare dall’ambito artistico – la distribuzione dei presunti meriti nel campo della musica: per esempio, è del tutto ingiusto che le Voci Atroci siano state eliminate dal “Sanremo Giovani”, perché erano senz’altro i migliori del lotto. Spesso il gradimento del pubblico si basa non sulla qualità o sull’impegno ma su considerazioni che vanno dalla bellezza del cantante all’apparenza di protesta delle canzoni, ma pochi indagano se il tizio di turno canta bene, se sta veramente protestando o se mentre fa finta di protestare incassando miliardi da destinare a scopi che non hanno nulla a che spartire con i concetti che dichiara di voler affermare. In conclusione noi andiamo avanti per la nostra strada, e chi ci segue da tempo sa che siamo abbastanza coerenti.
Mi pare che vi piaccia enfatizzare parecchio le vostre qualità di musicisti.
Non può essere un caso che i maggiori riconoscimenti ci arrivino dai colleghi. Crediamo nel lavoro duro, e lavoriamo tanto… quando ho iniziato a dedicarmi a quest’unica attività pensavo che non sarebbe stato molto pesante, e invece sto faticando molto più di quando facevo l’impiegato. Stiamo cercando di contribuire al miglioramento del panorama italiano, visto che da noi, a impegnarsi sul serio in campo musicale, siamo davvero in pochini. Meno male che un numero sempre maggiore di giovani sta realizzando l’importanza di concetti quali lavoro, onestà e coerenza.
Il confine tra utilizzare la tecnica strumentale come mezzo e vederla come obiettivo è molto sottile. Voi come vi ponete?
C’è differenza tra saper suonare bene ed evitare i troppi virtuosismi e non farli perché non se n’è capaci. Il virtuosismo può essere una parte della tecnica, ma tecnica non equivale automaticamente a virtuosismo, è anche selezione e risparmio. Mi piace pensare che facciamo buon uso della tecnica quando dissossiamo o quando alleggeriamo qualcosa che potrebbe essere molto più “gratificante” in veste ultra-elaborata.
Affrontiamo l’argomento “rapporti con il business”: è difficile mandare avanti una band come Elio e le Storie Tese?
Difficilissimo. Applicando la scelta della qualità e delle cose che ci piacciono non solo non riusciamo ad arricchirci, ma neppure siamo di mandare avanti la baracca in modo dignitoso. Tantissime nostre idee a livello artistico sono destinate a rimanere sul piano teorico per mancanza di soldi da investire. Siamo sempre a metà del guado tra ciò che piace esclusivamente a noi e che suoneremmo fino alla morte e ciò con cui tentiamo di entrare in classifica; non che queste ultime cose non ci appartengono, ma non so se le avremmo fatte ugualmente nel caso godessimo di un conto in banca di miliardi. Per capirci, non rinneghiamo La terra dei cachi – che sta a Elio e le storie tese come All You Need Is Love ai Beatles, nel senso che è un pezzo molto più complesso di quanto sembri – ma mi domando se, da ricchi, ci saremmo ugualmente proposti per il Festival di Sanremo.
Però vendete molto, entrate in classifica e fate tantissimi concerti: specie rapportando la vostra situazione a quella di altri artisti di area rock, questo piagnisteo mi sembra un po’ fuori luogo.
Sarà una conseguenza del mercato che comunque langue, però non ce la passiamo benissimo. Non che stiamo in mezzo a una strada, ma di sicuro la realtà è molto inferiore a quanto la gente immagina. Un artista vorrebbe avere la possibilità di esprimersi con mezzi sempre più evoluti – strumentistici, scenici, di collaborazione – mentre in Italia, in linea di massima, si è già fortunati se si riesce a vivere del proprio lavoro.
Non è che magari siete troppo esigenti?
Forse. Però i soldi stanziabili sono quelli che sono, e quando si è trattato di scegliere se mettersi in tasca due lire in più o chiamare Jon Jacobs – quello che ha messo assieme l’Anthology dei Beatles – a occuparsi dei mixaggi, non abbiamo avuto dubbi. Sappiamo che lui, da questa operazione, ha ricavato più di quanto ciascuno di noi guadagnerà di royalties, ma siamo felici che un nostro disco abbia suoni di questo livello.
Peccato che la stragrande maggioranza del pubblico non si renda conto della differenza.
Più che altro non si pone il problema di quello che accade dietro le quinte, ma è anche giusto dirglielo. Anche se i risultati possono sembrare pernacchiette, un disco di Elio e le Storie Tese comporta due anni di fatiche e di selezioni. Di questo, però, si accorgono solo i colleghi e i tecnici. Così da noi dobbiamo sforzarci per far capire che non siamo cazzari e basta, mentre l’ingegnere del suono di Paul McCartney ci domanda meravigliatissimo come sia possibile che ancora non siamo andati a suonare in Inghilterra o in America.
Magari per via dell’ostacolo della lingua.
Si stava parlando solo degli aspetti musicali, ma comunque questo è un problema relativo. Pensi davvero che tutti gli estimatori nostrani di Zappa capiscano perfettamente ogni parola delle sue canzoni?
Cosa mi dite della vostra fama di gruppo “politicamente scorretto” che fa incazzare un po’ tutti?
Che provocazione sarebbe, se nessuno si incazzasse? Però, alle volte, rimaniamo sorpresi: perché le femministe si infuriano per il nostro utilizzo del termine “cagafigli” e non trovano niente da ridire sulle pubblicità degli assorbenti o dei detergenti intimi? Le femministe odiano Cara ti amo, che altro non è se non la trascrizione fedele di quello che è accaduto e accade a chiunque, ma non vedono che abbiamo scritto anche una Servi della gleba dove fotografiamo il maschio per il perfetto coglione che è. Un’altra cosa buffa è che alcuni si scandalizzino per una singola parola e non diano peso a ciò che noi avevamo concepito come oltraggioso: eravamo convinti, ad esempio, che da Gomito a gomito con l’aborto sarebbe sorto un casino spaventoso, e invece nessuno ci ha cagati. E poi c’è il problema delle “libere interpretazioni”, come quella che vede nel Pipppero (peperoncino in lingua bulgara) una sorta di elogio del tirare la cocaina. Nell’opinione popolare, se Elio e le Storie Tese fanno un pezzo che si chiama Pipppero devono per forza entrarci le seghe o la cocaina.
La forza dell’abitudine. Comunque, da cosa nasce questa esigenza di provocare?
Forse è una sorta di test inconscio per controllare quanta gente intelligente c’è in giro, perché chi si incazza non è di sicuro molto intelligente.
Freak Antoni diceva che “non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti”.
Però anche lui, pur essendo intelligente, si è incazzato con noi: ci accusava di copiarlo, ma poi ci siamo incontrati e abbiamo capito che la colpa era tutta dei mass-media, un settore dove – a quanto abbiamo avuto modo di constatare – si è concentrata molta carenza di materia grigia. Gente che ti attribuisce frasi mai pronunciate, o che conferisce valenze inesistenti a questo o quello… Facciamo un esempio: visto che noi siamo spiritosi, sarcastici e ironici, se chiediamo a un cantante reputato a torto o a ragione melodico e mollaccione come Riccardo Fogli di partecipare a un nostro disco deve essere perché lo vogliamo prendere per il culo, mentre noi non abbiamo mai preso per il culo nessuno dei nostri ospiti. Anni fa qualcuno scrisse che, con il Pipppero, avevamo “fatto massacro delle inconsapevoli Voci Bulgare”, quando invece avevamo fornito loro la traduzione integrale in inglese e in bulgaro di ciò che avrebbero dovuto cantare.
Parlando d’altro, come funzionano gli equilibri e le competenze all’interno del gruppo?
Fin dall’inizio è stata una cosa democratica. Siamo molto fortunati perché ognuno si è fatto carico di alcuni compiti specifici, e perché in genere le cose che riescono meglio ad ognuno di noi non sono, in genere, ambite dagli altri. La chiave è che guardiamo al comune obiettivo e non ai presunti vantaggi individuali, e in questo siamo delle specie di mosche bianche: da noi i gruppi – i veri gruppi – non sono molto longevi perché l’italiano è cromosomicamente portato a mettersi in mostra. Le nostre composizioni sono il frutto di tensioni opposte, un po’ come se fossimo una palla di pizza ancora da preparare che viene mattarellata e tirata dappertutto finché non raggiunge la forma voluta.
E le vostre ormai proverbiali cazzate, da dove scaturiscono?
È molto semplice: i testi delle nostre canzoni contengono le stesse frasi che potresti ascoltare uscendo una sera con noi o accompagnandoci in una trasferta.
E voi cosa fate, le annotate tutte su un blocchetto?
Non proprio; quando siamo in fase di stesura di un album è possibile che si  facciano veri e propri brainstorming sugli argomenti che ci interessano, ma il più delle volte tutto parte da un’idea di fondo abbastanza casuale. Per esempio, Supergiovane nasce dall’idea di un super-eroe che ha come caratteristica solo il fatto di essere, appunto, giovane. Vi si magnificano, quindi, certe prerogative tipiche dell’adolescente inquieto, come quella di fumare non perchè se ne ha voglia ma perché “fa  figo” o impennare con il motorino. Tra l’altro il Supergiovane è proprio il “tamarrino” che da ragazzi abbiamo sempre detestato, perché noi non giravamo su una sola ruota e non andavamo a picchiarci con qualcuno solo perché ci aveva detto chissà cosa.
Credo che le vostre canzoni possano essere divise in due categorie: quella che nascono da osservazioni di questo o quell’aspetto della vita reale – prendiamo Mio cuggino, Cara ti amo o la stessa Supergiovane – e quelle che sembrano appoggiarsi solo su un allucinato campionario di stronzate assortite. Mi incuriosisce, ad esempio, capire come si fa ad alzarsi una mattina e scrivere Il vitello dai piedi di balsa o El pube.
Il vitello dai piedi di balsa nasce come ipotesi di canzone per bambini, e per la nota teoria secondo la quale il titolo arriva spesso prima del senso del pezzo doveva chiamarsi L’orsetto coglione o L’orsetto terrone o L’orsetto ricchione. Non c’era nessuna volontà offensiva, solo parole che suonavano bene: contrasto tra musica “colta” e testo stupido, ma anche tra sostantivo canonico e aggettivo destabilizzante.
Un altro aspetto interessante dei vostri testi è quello della citazione più o meno gratuita.
In El pube ce n’è una fedele di uno stralcio de La vestaglia di Massimo Ranieri: ci è venuta in mente pensando alla frase “è sempre bello vedere la propria moglie che orgasma” – e anche qui c’è il solito riferimento al dare per scontato o acquisito qualcosa che non lo è affatto – e noi facciamo sì che la consorte in questione goda per mezzo di tutto un “pueblo” che per di più è “unido” come nel brano degli Inti Illimani. Se chiunque altro avesse scritto qualcosa di simile pensando a Ranieri non lo avrebbe mai sottolineato in qualche modo nelle liriche, ma noi possiamo farlo.
E poi ci sono le citazioni musicali.
Appagano un altro nostro lato caratteriale, quello di giocare con le note. Tanto per farti capire il nostro approccio, c’è un punto in cui una ripresa di uno stralcio di un brano dei Weather Report sfocia nella sigla del Telegiornale.
Immagino che voi siate contenti quando questi omaggi occulti vengono scoperti…
Infatti. Vorremmo che le riconoscessero tutti tranne gli editori originali!
Sempre a proposito di citazioni, nella versione 12 pollici del Pipppero c’è un accenno di cover de Gli altri siamo noi di Umberto Tozzi, con l’inizio cambiato in “Gli uomini sessuali ingoiano il moplen”.
Avremmo voluto inserirne la versione integrale in quest’album, ma la mancanza di spazio ce l’ha impedito. Il testo è, in pratica, un’analisi del meglio del peggio delle produzione Bigazzi/Tozzi e Bigazzi/Masini: abbiamo selezionato le perle – tra cui una vera meraviglia di Tozzi: “saremo ancora una canoa che affonda nel sublime” – e le abbiamo unite in una sorta di maxi-blob. Il fatto degli “uomini sessuali” si riferisce naturalmente all’inevitabile tendenza di ogni ragazzino di associare la parola “omosessuale” a quella di “uomo sessuale”.
A tale proposito, non mi sembra che Omosessualità abbia scatenato le ire della comunità gay.
Infatti. Il Circolo Omosessuale Mario Mieli ci ha addirittura premiato per il modo in cui avevamo affrontato l’argomento, “seppure in maniera provocatoriamente limitata”. Ci hanno fatto alcune osservazioni pertinenti in merito al testo, ma a noi non interessava scrivere una canzone sull’universo omosessuale ma solo mettere in risalto i soliti luoghi comuni, primo fra tutti quello – detta così suona un po’ brutale, ma è la triste verità – che per i ragazzini l‘omosessuale è solo “un uomo che lo prende nel culo”. È un po’ quanto è accaduto con La terra dei cachi, nella quale tanti illustri giornalisti e commentatori TV hanno visto un’arguta disamina dei guai vecchi e nuovi dell’Italia e non il consueto gioco con le frasi fatte più banali. Pensa che “cachi” è stato scelto solo perché dava un’illusione di rima – una “rima baccinata”, visto che Baccini ritiene che due parole fanno rima anche avendo in comune soltanto l’ultima lettera – con il “se famo due spaghi” del testo. Ciò che riesce meglio è sbattere in faccia alla gente i luoghi comuni più classici e indurla a razionalizzarli, perché così facendo è impossibile che non ci rida su.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.285 del 9 dicembre 1997

Categorie: interviste | Tag: | 24 commenti

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24 pensieri su “Elio e le Storie Tese

  1. kanon 82

    Mai apprezzati particolarmente se non per la simpatia di alcune loro canzoni ma in linea di massima tutta questa genialità tecnica o compositiva, che non metto in discussione, non mi ha mai preso. Hanno generato dei fan “mostri” che arrivano a dirti “Faso è il miglior bassista Italiano” come se la musica fosse fatta per consegnare una Coppa al migliore, fanno video dove spiegano che gli Italiani ai concerti non battono a tempo le mani e che diamine; meta canzoni su meta canzoni, profonde quanto si vuole, ma sempre divise tra tempi dispari e testi semiseri (intelligenti ?, Geniali ?) ma scritti come se fossero pensati da un 13 enne francamente hanno stancato.

    • Capisco perfettamente il tuo discorso, specie quello sull’aver “stancato”. Personalmente, pure avendo rilevato nella produzione più recente qualche calo, continuo a rimanere stupito della loro capacità di inventare sempre nuove, brillanti “cazzate”. Delle capacità tecniche, lo ammetto, mi frega poco o nulla, ma in un articolo è comunque un elemento da sottolineare soprattutto a beneficio di quelli che vedono negli Elii soltanto dei cazzari. Che poi non “prendano” ci sta tutto, figurati…
      Però quando gli feci questa intervista, vent’anni fa, erano proprio al top.

  2. Ciao Federico, è dai tempi dei Violet Eves che non ci sentiamo, grazie di questa chicca, I’m gaga over with Elio e Le Loro Storie

  3. Acca

    Ascolto gli Elii da più di venti anni (da quando cioè ne avevo 20) e ho visto più di una decina di loro concerti. A me ha sempre dato fastidio chi li apprezzava solo per il loro modo di fare i cazzari senza minimamente capirne la grandezza musicale, anche se devo dire che il loro fare “cazzaro” è l’unico motivo per cui riesco a digerire la forma “canzone” che altrimenti (e altrove) mi annoia spesso.

  4. Ary.

    Grazie per aver condiviso questa intervista, ottime le domande e interessanti le risposte. E qualche parte memorabile: “Forse è una sorta di test inconscio per controllare quanta gente intelligente c’è in giro, perché chi si incazza non è di sicuro molto intelligente” entra di diritto nella mia raccolta di aforismi preferiti!

  5. breisen

    Reblogged this on Amolanoia and commented:
    eLIO FOREVER

  6. francescosamani

    Reblogged this on Francesco Samani.

  7. giannig77

    li ho sempre ascoltati e apprezzati, seppur moderatamente (per intenderci.. possiedo qualche loro disco ma non li ho mai visti dal vivo, per dire)… eppure pur leggendo e addentrandomi spesso nelle questioni musicali, non mi sono accorto (o non l’ho percepito) del momento di passaggio tra band invisa agli alternativi e band che mette d’accordo tutti, pubblico e soprattutto critica (vedi l’ultimo Sanremo, dove a parte la genialità dell’idea per la canzone, non mi sembra che il brano possieda la stessa forza de “La Terra dei cachi”).

    • Dal vivo vanno visti senz’altro… fatti comunque un giro su YouTube e guardati qualcosa.
      Più che invisi erano per lo più guardati con sufficienza, come se fossero dei cazzoni. A me non pare che ci sia stato un momento preciso di passaggio… so solo che a un certo punto sono diventati, per tutti, dei geni. “La terra dei cachi” aveva magari più appeal, questo sì, ma sono questioni di lana caprina: alla fine riescono sempre a inventarsi cose diverse, che colpiscono.

  8. Zucco17

    Grazie di questa intervista, grazie.

  9. Luca

    Uau! Gli Elii seri mi fanno un po’ paura. Comunque ottima intervista! Sarebbe bello leggerne un’altra in cui parlano degli albi più recenti. Ne conoscete qualcuna?

  10. Anonimo

    Grazie per avermi detto quello che pensavo degli elii da molto molto tempo. Non essendo musicista ho sempre apprezzato i testi, in apparenza cazzari e volgari, in realtà pensati e non banali.

  11. Dove tra l’altro si scopre che Checco Zalone ha citato EelST…

  12. myPick

    Interessante. Temo che il travisamento da loro rilevato sia addirittura peggiore: il 90% del repertorio sono le classiche perle ai porci…

    • Storia vecchia, ahinoi. Purtroppo in Italia regna la superficialità, sono in pochi quelli che analizzano le cose con un minimo di approfondimento. Gli Elii piacciono a un sacco di gente, vero, ma per quello che in realtà NON sono.

  13. Pingback: EelST: l’intervista seria « Elio e le Storie Tese

  14. Riletta moltoma molto volentieri! 🙂

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