Cut (2000-2010)

Proprio ieri ho ricevuto dalla sempre lodevole Area Pirata la ristampa in CD (con accluso codice per scaricare svariate tracce bonus) di A Different Beat, un vecchio album dei Cut risalente al 2006. Inevitabile dragare l’archivio alla ricerca di cosa avessi scritto della band bolognese, con la soddisfazione di aver trovato tanto e una certa sorpresa nello scoprire che l’unica recensione della quale ero più che sicuro – quella dell’esordio Operation Manitoba, AD 1998 – in realtà non è mai esistita; sapevo invece di non essermi occupato degli ultimi due dischi del gruppo, il vinile The Battle Of Britain del 2011 e l’ultimo Second Skin (2017). Ecco allora ciò che ho pubblicato in tempo reale sui Cut dal 2000 al 2010: la loro intera produzione del periodo, compreso l’A Different Beat di cui sopra. Al di là dei discorso sulla musica, riveste particolare interesse la prima recensione, che apre una finestra su un mondo oggi antichissimo.

Contact
(Gamma Pop-Vitaminic)
La copertina dei Cut qui riprodotta, in realtà, non esiste. Cioé, non proprio: esiste come file eventualmente stampabile da accoppiare a un “singolo” anch’esso virtuale, almeno come supporto discografico: le due tracce altrimenti inedite che ne fanno parte sono infatti reperibili esclusivamente sul Web nel sito di Vitaminic (la prima è scaricabile gratis, la seconda costa duemila lire); insomma, a meno di ripensamenti o futuri recuperi in qualche antologia, l’ascolto di Contact e Highlights & Glory sarà riservato solo a chi se la sentirà di accantonare (abiurare, per il momento, è per fortuna prematuro) la filosofia dell’oggetto-disco a favore di quella della musica libera da vincoli di carattere fisico/feticistico. Sorprende magari un poco che tale operazione, a quanto mi risulta senza precedenti nell’ambito degli artisti italiani già (relativamente) emersi, veda protagonisti una band come i Cut e un’etichetta come la Gamma Pop, entrambi legati a concetti abbastanza “classici” di suono e strategie: il quartetto bolognese, che tutti ricorderete titolare dell’eccellente album Operation Manitoba, è infatti dedito ad una proposta di scuola punk’n’roll, mentre la label emiliana ha addirittura in catalogo un paio di lavori in vinile…
Comunque, le cose stanno così. E quindi, invece di recriminare su come il progresso tecnologico ci costringa a cambiare le nostre abitudini di appassionati, è d’obbligo accendere il computer, connettersi alla Rete e impadronirsi di Contact, tre minuti di trame rock vigorose, concitate e urticanti che mettono in luce aperture quasi-crossover, e della più breve e ancor più riuscita Highlights & Glory, dove la voce è quella di Elena Skoko e dove l’atmosfera è quella allucinata/isterica di un art-punk lancinante e davvero poco prevedibile. Fermo restando che ciò sarebbe stato ancor più apprezzabile in un vecchio, meraviglioso 45 giri, non possiamo non rilevare che sarebbe difficile trovare un modo migliore per inaugurare una collezione di “web only singles”.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.396 del 9 maggio 2000

Will U Die 4 Me?
(Gamma Pop)
Ci sono voluti quasi tre anni, ma alla fine i Cut hanno dato un concreto seguito all’illuminante esordio Operation Manitoba: le dimissioni di due membri, le difficoltà incontrate nello stabilizzare l’organico e varie altre complicazioni di carattere pratico hanno infatti obbligato la band “apolide con sede a Bologna” a modificare più volte i programmi originari, come dimostrato anche dal fatto che le session dal quale è scaurito questo Will U Die 4 Me?, realizzate con l’ausilio del produttore americano Juan Luis Carrera e del quotato tecnico del suono David Lenci, risalgono al maggio scorso e hanno visto in azione un batterista (Gianluca Schiavon) diverso da quello che oggi accompagna sul palco il nucleo-base composto da Elena Skoko (voce), Ferruccio Quercetti (chitarra, voce) e Carlo Masu (chitarra, voce).
Introdotti da un allucinato “blessing” ad opera di The Doc, gli undici brani del CD mettono in evidenza la maturazione dell’ensemble, che rimane sostanzialmente fedele allo stile del debutto – una torrida, lancinante miscela di garage, punk e funk a metà tra la Jon Spencer Blues Explosion e i Sonic Youth – ma che oggi si dimostra più potente, quadrato e incisivo. Merito della maggior cura riservata alle questioni tecniche, certo, ma merito anche dell’apparente, accresciuta fiducia nei propri mezzi e nella possibilità di ritagliarsi uno spazio nemmeno tanto angusto in una scena internazionale sempre meno chiusa nei confronti dei gruppi originari della periferia dell’Impero. Crudo e graffiante nei suoi elaborati ma sanguigni intrecci di chitarre e batteria, nonchè evocativo nelle pur tese trame vocali imbastite dall’affascinante Elena, Will U Die 4 Me? è un piccolo, grande monumento a un “sentire rock’n’roll” che non si preoccupa di concetti quali passato e futuro: un r’n’r scarno eppure compatto, ombroso ma non opprimente, metallico ma non metallaro, che aggredisce e ferisce con armi antiche ma per fortuna ancora attuali come l’energia, la cattiveria e una naturale attitudine perversa legata però a un non meno pronunciato senso dell’autoironia. Difficile scegliere un pezzo-guida (anche se il convulso Superbad si propone con autorevolezza al ruolo) e difficile dire se sono più efficaci i riffoni assassini di Out In The Street o i coretti “dementi” di Contact: anche se la loro musica vanta spunti pregevoli sotto il profilo strutturale e contenutistico e non solo sul piano dell’impatto, i Cut sono un’esperienza da affrontare innanzitutto in modo fisico e senza inutili intellettualismi. Meglio ancora se applicando quanto suggerito nel post scriptum che chiude simpaticamente le note di copertina: “hai una manopola del volume… questo è un disco rock’n’roll… bene, sai cosa fare”.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.430 del 20 febbraio 2001

Torture
(Gamma Pop)
Della separazione consensuale tra i Cut – che hanno deciso di proseguire come trio – e la cantante Elena Skoko vi abbiamo riferito in altra sede: a meno di futuri ripensamenti o recuperi di materiale finora inedito, i quattro brani di questo EP rimarranno dunque le ultime testimonianze della line-up del secondo album Will U Die 4 Me?. In attesa di verificare in che modo la defezione influirà sui percorsi artistici della band bolognese, vale comunque la pena di soffermarsi su Torture, nel quale il rock’n’roll marchiato Cut – sempre in bilico tra vigore punk, strutture scarnificate, aperture visionarie e spigolosità sonicyouthiane – si rivela ancora una volta assai espressivo nella sua efficace sintesi di istinto e ragione. Abbastanza diverse tra loro, ma non per questo disomogenee, la malsana Torture (una Blues Explosion in versione “soft”?), la stranita Billy Boy (art-punk-funk al femminile?), il pastiche quasi-lisergico di Two Skeletons (spazi aperti e bassifondi metropolitani, assieme) e la rilettura molto personalizzata di Sign o’ The Times di Prince dicono di un gruppo al quale la grande esperienza accumulata in anni e anni di concerti e dischi non ha sottratto vitalità, entusiasmo e voglia di “sporcarsi le mani”. Come graditissimo bonus, a compensare le carenze quantitative del suddetto materiale (appena undici minuti e mezzo), le tracce per PC e MAC con i videoclip di Will U Die 4 Me? e Sugar Babe, esplicativi tanto quanto la musica dell’indole ben poco accomodante dell’ensemble.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.487 del 21 maggio 2002

Bare Bones
(Gamma Pop-V2)
Sono due e non uno, al di là di ciò che si potrebbe pensare limitandosi a un’analisi superficiale, i ritorni dei quali si tratta in questo spazio: quello dell’etichetta Gamma Pop, che rientra sul mercato dopo un annetto di “animazione sospesa” forte di una nuova partnership con la V2 e della distribuzione Sony, e quello dei Cut, ensemble anch’esso bolognese che più o meno dallo stesso tempo stava osservando un periodo di riflessione – non statico, comunque, ma dinamico – a seguito del secondo, importante divorzio all’interno della sua line-up. Ritorni ancor più graditi perché si era in parecchi a ritenerli poco probabili: e questo perché la label pareva destinata a pagare il mancato conseguimento di quel “salto di categoria” fatto ipotizzare dai consensi raccolti dalle sue prime uscite, mentre la band – ridotta a un trio: Ferruccio Quercetti chitarra e voce, Carlo Masu chitarra-basso e voce, Francesco Bolognini batteria – avrebbe sensatamente potuto decidere di gettare la spugna, tanto per la difficoltà di ridefinire il proprio stile quanto magari per la semplice stanchezza di dover ricominciare daccapo.
Oggi, ottobre 2003, i Cut e il loro “storico” marchio discografico sono però alive & kicking, come evidenziato da un album che costituisce un eloquente attestato di rinnovata energia e ritrovato entusiasmo al quale la copertina in qualche modo autoironica e il titolo programmatico – in italiano, Ossa nude: una metafora perfetta per inquadrare il sound crudo e scarnificato del gruppo – fungono da ideale biglietto da visita. Certo, i precedenti Operation Manitoba e Will U Die 4 Me? davano l’idea di opere pienamente compiute, confezionate da musicisti che non desideravano nulla più di ciò che già possedevano; nonostante i numerosi pregi, questo Bare Bones sembra invece la prova di una formazione alla ricerca di qualcosa, anche se ispirata nel fare di necessità virtù e decisa a costruirsi un futuro almeno all’altezza del passato. Un CD di (bella) transizione, dunque, ma di transizione in movimento, come dimostrano i due episodi (My Baby Just Want To Be Alive e Animal Baby) che vedono come co-protagonista la nuova cantante Cristina Negrini, in prospettiva destinata al ruolo di primo piano che fu della dimissionaria Elena Skoko; e come confermano le altre undici tracce di una scaletta che per trentuno minuti propone un cocktail acido di sonorità abrasive e spigolose, dove un art-punk’n’roll solido e incisivo a dispetto della scarsa pienezza strumentale incontra il soul, il rhythm’n’blues, il funk più o meno deviato – indicativi, in tal senso, soprattutto la Down To The Limit con un falsetto che omaggia Prince e la Sixty Notes che fa un po’ il verso alla hendrixiana Purple Haze – e quant’altro in uno sfrenato party dalle atmosfere quasi sempre fosche e malsane. Tra gli invitati, oltre al produttore americano Jean Luis Carrera che come nel caso di Will U Die 4 Me? ha curato gli aspetti tecnici, due dei Julie’s Haircut e l’eclettico Andrea Rovacchi, impegnati in piccoli ma gustosi camei. Qualcosa di più e qualcosa di meno, insomma, del “solito” disco dei Cut, figlio di una totale dedizione allo spirito e alla forma del rock aspro, trascinante e animalesco ma anche del desiderio di non fossilizzarsi su cliché troppo banali e stantii; parallelamente, una valida ripartenza per una band dalla quale è lecito attendersi ulteriori, stimolanti sorprese e per un’etichetta che ha tutte le carte in regola per non smentire la sua consolidata tradizione di talent scouting. A entrambi, in bocca al lupo.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.548 del 30 settembre 2003

A Different Beat
(Homesleep)
Dati spesso per spacciati, i Cut continuano invece a dimostrarsi voce di peso del nostro underground, spinti da una voglia di fare r’n’r capace di vincere non solo le solite “difficoltà di gestione” tipiche del circuito ma anche da assortiti problemi di organico ed etichette. In questo quarto album, il primo per la Homesleep, l’ensemble bolognese propone una nuova, sensibile rettifica di rotta, rimanendo fedele alle logiche del “grintoso & spigoloso” sulle quali ha costruito la propria lusinghiera ma ponendole al servizio di un songwriting nel complesso più improntato alla fantasia; dei Cut, insomma, magari più ragionati – ma non per questo meno sporchi e istintivi – il cui impatto rimane ruvido ed energico nella sua fusione di punk, garage, blues hard e new wave “funkeggiante”. E dei Cut che, ancora una volta, funzionano alla grande, sebbene gli elementi costitutivi della loro proposta siano tutto sommato in buona parte prevedibili.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.621 dell’aprile 2006

Annihilation Road
(Go Down)
Prossimi a festeggiare i quindici anni di carriera, i Cut da Bologna sono da considerare un’autentica istituzione della nostra scena indipendente: un ruolo conquistato grazie a concerti esplosivi e a una bella sequenza di dischi che sembrava però essersi arrestata nel 2006 con A Different Beat. Sembrava, perché la band è ora riapparsa con un quinto album – il secondo da power-trio e il primo per la Go Down – che allinea quattordici nuovi pezzi incisi a New York con al mixer Matt Verta-Ray (partner di Jon Spencer negli Heavy Trash) e masterizzati da quell’Ivan Julian che fu uno dei due chitarristi dei mitici Voidoids di Richard Hell. Il risultato? Un lavoro dove le aperture wave sono per lo più una lontana eco e dove i Cut sfogano soprattutto la loro indole rock’n’roll più sudicia, sferragliante e sabbatica. Adrenalinicamente back from the grave, insomma… benché, a onor del vero, nessuno li avesse dati per sepolti.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.677 del dicembre 2010

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