Originari dell’area delle spiagge prossime a Los Angeles, i Circle Jerks sono stati tra i primi e più importanti esponenti dell’hardcore punk californiano (argomento al quale ho anche dedicato questo libro), dei quali ho recensito “in diretta” quasi tutta la discografia. Qui le recensioni dei primi tre LP.
Group Sex
(Frontier)
Il nuovo rock californiano ha trovato un altro centro nella parte sud dello Stato, fra le cittadine della costa dove ultimamente sono nate decine di gruppi che portano avanti il discorso rock violentissimo lanciato anni fa da band come Germs, Dils o Weirdos. I nuovi profeti del punk (ma molti di essi non vogliono essere definiti in tal modo) locale sono di solito giovanissimi, attaccabrighe ed eccentrici nel vestire, e rifiutano le tradizioni della prima ondata punk di L.A., città della quale negano anche la supremazia in campo musicale rispetto alle altre zone della California. Insomma, i “beach punk” – i punk delle spiagge, così come sono stati subito etichettati dalla stampa – si considerano un’individualità ben distinta.
I Circle Jerks sono in quattro: Greg Hetson (chitarra), Lucky Lehrer (batteria), Roger Rogerson (basso) e l’ex Black Flag Keith Morris (voce), e il loro sound è uno dei piu compatti e micidialmente aggressivi che si possa ascoltare. Il loro Group Sex contiene quattordici canzoni, dura solo quindici minuti, e dalla prima all’ultima nota è un assalto condotto con una potenza incredibile; chi ancora crede che i veri punk siano Angelic Upstarts, Cockney Rejects o U.K. Subs farebbe bene ad ascoltarlo e a cambiare idea. I pezzi sono costruiti su una sezione ritmica martellante e implacabile, su una chitarra assassina e su un canto feroce; anche i testi, che toccano i temi più disparati, sono crudi e provocatori. Quest’album può essere apprezzato solo dagli amanti della musica più ruvida e compatta, da quelli che considerano la robustezza del “muro di suono” più importante della melodia, che antepongono la velocità alla tecnica; anche se gli accordi sono pochi e i brani hanno sostanzialmente la stessa impostazione, Group Sex è un lavoro assai valido, dotato di caratteristiche che lo rendono assolutamente imperdibile.
(da Rockstar n.10 del luglio 1981)
Wild In The Streets
(Faulty Products)
Group Sex, il primo album dei Circle Jerks uscito nel 1980, è indubbiamente uno dei manifesti dell’hardcore punk, con le sue quattordici canzoni della durata complessiva di quindici minuti, tutte durissime e velocissime. Wild In The Streets, secondo album del quartetto californiano, segna il passaggio dalla Frontier alla più organizzata Faulty Products, evidentemente dovuto al desiderio dei musicisti di allargare sempre più la propria cerchia di sostenitori con l’aiuto di una label con maggiori mezzi a disposizione. Erano in molti a pensare che il cambio di scuderia avrebbe costretto Keith Morris e compagni a modificare il proprio sound al fine di renderlo più facilmente assimilabile dal grande pubblico; le innovazioni in effetti ci sono state, ma credo che esse vadano attribuite a scelte precise dei Circle Jerks e non a eventuali pressioni da parte della loro casa discografica. In ogni modo, la musica del complesso è sempre violenta e aggressiva, anche se più morbida e rifinita che in Group Sex.
L’inizio è assai promettente: la nuova versione (la prima si trova in Rodney On The ROQ) di Wild In The Street’ di Garland Jeffreys merita molti elogi, come anche la seguente Leave Me Alone, meno rabbiosa e costruita in modo davvero singolare. Il resto della scaletta mostra la band alle prese con brani quasi sempre duri e compatti, ma in parecchi casi non del tutto soddisfacenti: i Circle Jerks hanno affinato le loro capacità tecniche e hanno imparato a curare maggiormente le proprie composizioni, ma sembrano aver smarrito buona parte di quella felice vena compositiva che nel debutto si era espressa attraverso episodi assai più eclatanti. Probabilmente, però, è anche il fatto che Group Sex sia stato uno dei primi dischi di hardcore punk a portarci a sopravvalutarlo; di sicuro, oggi che questo tipo di musica è così diffuso, diventa più difficile apprezzarne ogni testimonianza. Voglio dire, cioè, che anche Group Sex, paragonato alle decine di altri prodotti hardcore apparsi nel frattempo sul mercato, sembra adesso meno eccezionale di quanto non parve nel 1980. Concludendo, Wild In The Streets è un album che, pur mostrando qualche segno di cedimento assieme a una più attenta applicazione interpretativa, si rivela tutto sommato tipicamente Circle Jerks, e in molte delle sue quindici canzoni (durata totale circa venticinque minuti) non potrà non piacere ai numerosi fan della band californiana, che grazie a esso acquisirà certamente anche nuove schiere di seguaci.
(da Il Mucchio Selvaggio n.52 del maggio 1982)
Golden Shower Of Hits
(Allegiance)
A chi non avesse mai ascoltato i Circle Jerks basterebbe il primo impatto con la copertina di Golden Shower Of Hits per intuire – più o meno – che razza di individui compongano questo bizzarro ensemble californiano; pisciare sui tanto ambiti dischi d’oro, infatti, è un’azione che ben pochi compirebbero, e ancora meno pubblicherebbero sul fronte di un loro album la prova fotografica dell’avvenuto sacrilegio. Scherzi a parte, i Circle Jerks sono sempre stati un gruppo atipico e dissacrante, imbevuto di filosofie iconoclaste spesso degeneranti nel nichilismo più spietato: con il loro primo LP, l’indimenticabile Group Sex (quattordici pezzi della durata complessiva di appena quindici minuti), hanno in pratica fornito all’espressione hardcore punk il suo primo significato concreto, mentre con il successivo Wild In The Streets, pur mantenendo alto il livello di velocità e durezza, hanno offerto una prova forse meno incisiva (ma pur sempre efficace) delle loro non indifferenti capacità di devastare divertendo.
Per Golden Shower Of Hits non è certo più il caso di parlare di hardcore punk, visti i recenti sviluppi del fenomeno (che per fortuna non hanno minimamente influenzato i Circle Jerks). Una definizione appropriata potrebbe invece essere “hardcore rock‘n’roll”, con la quale si vorrebbe intendere una musica aggressiva ai limiti dell’esasperazione, ma abilmente (anche dal punto di vista tecnico) strutturata su schemi elementari e sfruttati, ma sempre validi e interessanti. Più che incrementare la rapidità esecutiva delle proprie composizioni come molti loro colleghi, i Circle Jerks hanno preferito tornare alle loro radici (il r‘n’r, appunto), non dimenticando però tutto ciò che anni di punk hanno saldamente legato alle loro essenze di musicisti. Il risultato, oltre che sostanzialmente originale, è sorprendentemente eccitante: basi ritmiche potenti e spesso anche elaborate su schemi non proprio comuni, una chitarra solista che talvolta non lesina in assoli alla “bel tempo che fu” e una voce robusta e disperata che si sforza di urlare fino allo sfiancamento totale testi crudi e incisivi. Il tutto, naturalmente, inserito in un contesto di stretta derivazione punk, compatto e provocatorio forse anche in maniera eccessiva per i gusti dei consumatori più tradizionalisti. Eppure, nonostante molti potrebbero trovare discutibili determinate soluzioni, i Circle Jerks sono davvero grandi. È infatti innegabile che abbiano saputo fondere due tipi di approccio non facilmente conciliabili in un sound profondamente coinvolgente, in cui anche l’apparente grezzezza delle canzoni è un dato pienamente positivo, e, anzi, irrinunciabile per lo “spirito” del gruppo. Pur non essendo privo di difetti (non tutti i brani sono sul medesimo standard qualitativo), Golden Shower Of Hits contiene episodi eccellenti: è il caso delle potenti Under The Gun e Coup d’Etat, della sofferta e lenta Rats Of Reality e soprattutto della title track conclusiva, contenente assurde riletture di pezzi di Burt Bacharach, Neil Sedaka, Paul Anka e altri. Come tutti i californiani che si rispettino, anche i Circle Jerks amano il divertimento (fun, per dirlo all’americana) e, come tutti i giovani d’oggi, sono anche notevolmente incazzati. Golden Shower Of Hits unisce in matrimonio rabbia e allegria, tradizione e furia iconoclasta, usando come mezzo il concetto elastico e intramontabile di rock‘n’roll; anche essendo inevitabilmente esposto alle valutazioni soggettive, questo terzo 33 giri dei Circle Jerks è, come i precedenti, un lavoro importante e, oltretutto, indiscutibilmente “vero” da qualunque angolazione lo si voglia analizzare. E poi i Circle Jerks sono troppo matti, “caciaroni” e trascinanti per non riscuotere almeno simpatia: in definitiva, il rock ha bisogno anche di loro.
(da Il Mucchio Selvaggio n.71 del dicembre 1983)
Per moltissimo altro materiale sull’hardcore punk californiano: http://www.tsunamiedizioni.com/index.php?page=shop.product_details&flypage=flypage.tpl&product_id=172&category_id=2&option=com_virtuemart&Itemid=38
Group Sex una Bomba…Keith Morris uno dei miei preferiti.
Anche periodo Black Flag.
il resto dei C.J solo manierismo.