Nel numero 50 del defunto Mucchio Selvaggio, pubblicato nel marzo del 1982, c’era anche la mia recensione del primo LP – uscito il 7 gennaio – di un gruppo del quale avevo già scritto in precedenza e del quale molto ancora avrei scritto (per esempio qui). È una recensione piuttosto imbarazzante sotto il profilo formale, ma avevo ventun anni e nessuno che mi insegnasse alcunché. Sul giudizio, invece, sono ancora totalmente d’accordo con me stesso.
Roman Gods
(I.R.S.)
Dopo lunga gestazione vede finalmente la luce il primo 33 giri dei Fleshtones, una delle piu dinamiche e brillanti formazioni newyorkesi. Come molti forse ricorderanno, il gruppo si era già segnalato realizzando un 45 giri per la Red Star Records e successivamente partecipando alla raccolta 2×5, edita dalla stessa etichetta; in un secondo tempo erano venuti il mini-LP su I.R.S. e un nuovo singolo, che sono serviti ottimamente a dimostrare la buona vena del quartetto guidato da Peter Zaremba, in grado di rivolgersi verso le forme più diverse del vasto universo rock.
Con Roman Gods i Fleshtones giungono al sospirato debutto su LP, dopo lunghi anni (sono assieme dal 1976) di attività underground ricca di consensi ma povera di soddisfazioni – diciamo così – “pratiche”. Affermare che il lavoro è di alto livello qualitativo è scontato, così come è scontata l’affermazione che i Fleshtones sono una delle migliori band “pop” attualmente in circolazione: attenzione, però, a non farvi confondere dal termine, perché esso va qui considerato nella sua accezione più ampia e nobile, e soprattutto legata a filo doppio al rock’n’roll.
Roman Gods è un’opera impeccabile, dove l’intrinseco lirismo delle composizioni si accompagna a esecuzioni fresche e piacevolissime; chitarra, basso e batteria, affiancati dal sax e da un’ecceziona1e armonica, sanno creare un sound sempre elettrizzante, di volta in volta ispirato dal tipico r‘n’r, dalla psichedelia, dal beat. Naturalmente il tributo da pagare ai Sixties (e ai Fifties) è piuttosto consistente, ma i Fleshtones sono abilissimi nel1’adattarsi a canzoni dalle impostazioni più varie con uguale destrezza e fantasia. Tutti i brani, caratterizzati da un’invidiabi1e perfezione negli arrangiamenti, sono ugualmente belli e rappresentativi, ed è perciò inutile citarne qualcuno in particolare. Il giudizio su Roman Gods è quindi estremamente positivo: tutti abbiamo bisogno di un po’ di sano e moderno rock’n’roll e i Fleshtones sanno bene come soddisfare questa esigenza.
(da Il Mucchio Selvaggio n.50 del marzo 1982)
Mi è scappato di non mettere il nome.
Non capisco cosa ci sia di imbarazzante nella recensione, secondo me spiega molto bene il contenuto del disco e fa un breve riassunto della storia della band. Meglio di così…
Spesso ti “denigri” un po’ troppo sulle vecchie recensioni. A me continuano a piacere. Sono molto chiare ed è una delle cose che da sempre ho apprezzato nelle tue critiche.
Sì, forse esagero. Il fatto è che, essendomi nel frattempo parecchio evoluto, soffro nel leggermi così… “semplice”, diciamo.
Considera che la tua “semplicità” era una degli aspetti che rendevano piacevole leggere le recensioni, mi ricordo la fatica che si faceva per leggere quelle di una peraltro splendida rivista che era Rocherilla, alla fine della recensione piena di “paroloni” alla fine non avevi capito che genere fosse il disco, se era valido e soprattutto se rientrava nella sfera degli artisti la cui musica mi piaceva o meno. Ai tempi si comprava a scatola chiusa, dei non meno delle 200 tue segnalazioni finalizzate con acquisti, ce ne saranno stati forse 5 di artisti che non mi sono piaciuti (ad essere cattivo) con altri recensori (che poi smettevo di “considerare” ) la percentuale superava anche il 50%…. Il Mucchio Selvaggio si distingueva IMHO per la grande qualità ed intelligibilità delle recensioni, oltre che per tutto il resto chiaramente. Su questo aspetto era due spanne sopra tutte le altre riviste. Non potrò mai ringraziare abbastanza il Mucchio e coloro che ci hanno scritto per avermi fatto conoscere “in anticipo” una musica che mi resterà sempre nel cuore. Un abbraccio Enrico
Caro Dario, fondamentalmente trovo quasi tutto quello che ho scritto nei primi anni superficiale nella sostanza e non abbastanza curato nella forma. Quando recupero qualcosa sul blog faccio qualche piccolo aggiustamento, ma non posso non soffrire un po’ perché adesso scrivo dieci volte meglio di allora.
Direi diverso (si nella forma un po’ meglio ma è ovvio). Nel tuo libro No control ho apprezzato il fatto di vedere la tua evoluzione nelle recensioni (e le prima erano già ottime).
Ho sempre amato tantissimo i Fleshtones di cui possiedo praticamente tutta la discografia compresi alcuni vinili di difficile reperibilità. Sono favolosi, Grazie a Federico che me li ha fatti conoscere proprio con questa recensione