In decenni di carriera ho conosciuto tantissimi discografici major, ma non posso dire di aver legato con tutti. Anzi. Dal mio distorto punto di vista, il problema era che, almeno un molti casi, non amavano davvero la musica e la vedevano per lo più come uno strumento di autoaffermazione all’interno della compagnia nella quale erano assunti. Tutto legittimo, ovvio, ma nella mia ottica chiunque lavori con la musica (e con qualsiasi altro genere di arte) dovrebbe affrontare la materia e le sue dinamiche in modo un po’ diverso da come si fa con un normale prodotto da vendere; non a caso, per molto tempo, rimanevo basito apprendendo che il nuovo dirigente della multinazionale X aveva come qualifica solo il fatto di essere stato dirigente della multinazionale Y, che però non produceva dischi bensì latticini, pneumatici, macchine agricole et similia. Sia chiaro, ci sono state (e ci sono tuttora) auree eccezioni, ma a mio avviso in una compagnia discografica non dovrebbero mai essere assunte persone che con la musica non abbiano coltivato rapporti stretti, che non abbiano esperienza “sul campo”, che non considerino un artista come una lavatrice o uno snack.
Tra le auree eccezioni di cui sopra, una delle più preziose e scintillanti con le quali ho incrociato il mio percorso è senza dubbio Carlo Basile. Ho scritto tante volte e in più contesti che fu praticamente l’unico in Italia a capire in tempo reale il valore e l’importanza di punk e new wave: i tanti dischi che volle fortissimamente pubblicare dalla RCA, della quale era appunto impiegato, parlano chiaro, ma tutta la sua storia è una sorta di inno alla passione, all’estro, a quel pizzico di follia che fa la differenza. Con lui mi sono trovato in sintonia fin da quando lo conobbi, direi 1978 o 1979, e tra l’altro gli devo anche un ringraziamento per avermi fatto ottenere il singolo lavoro pagato meglio della mia vita in termini di retribuzione rispetto al tempo impiegato.
Il proficuo impegno a favore di punk e new wave è però stato solo una piccola parte del percorso di Carlo. La sua è stata una vita decisamente avventurosa (basti dire che adesso vive nelle Filippine…) e ci sta che, ormai da anni in pensione, abbia voluto raccontarla in un libro, eloquentemente intitolato Carlo, you rock!. Me ne inviò una stesura provvisoria chiedendomi se avessi avuto voglia di scriverne una prefazione e io, dopo averla letta (spesso sobbalzando sulla sedia per come certe vicende fossero narrate senza alcun tipo di filtro) fui lieto di accontentarlo. Qualche mese fa, mentre aspettavo notizie sulla data di uscita del volume, appresi che l’editore svizzero Marmot Publishing non avrebbe commercializzato – come pensavo – un semplice tomo di testo con qualche foto di corredo, bensì una collana di volumi – in totale pare saranno quattro – ricchissimi di foto a colori. Quello inaugurale, fuori da un paio di mesi, consta di 96 pagine formato A4 in carta lucida e pesante e si ferma prima ancora che il protagonista diventasse un uomo della RCA, offrendo testimonianze dirette di come un giovane (un po’ particolare, ok…) potesse vivere il suo travolgente entusiasmo per il rock nell’Italia dei ’60 e dei primi ’70. Tutto è estremamente pirotecnico e qualche passaggio può lasciare increduli, ma la sua estrema godibilità non si discute. Inoltre, quell’autoreferenzialità che taluni – invidiosi? – potrebbero ritenere un difetto è a ben vedere l’opposto, oltre che un inequivocabile segnale di genuinità. Del resto lui è Carlo Basile e rocca & rolla, e questa sua autobiografia non può che riflettere la sua personalità, la sua indole. È “one of a kind”, Carlo, esattamente come ho scritto in chiusura alla mia prefazione.
Per ulteriori informazioni e per l’acquisto: https://marmot-publishing.com/