Beach House (2015)

Non ho difficoltà a capire l’apprezzamento, ma l’entusiasmo del quale il dream pop in genere è grafificato a più livelli è, a mio avviso, esagerato. Poi, per carità, circola di molto peggio e quindi bene così… però i Beach House questa trovata del doppio “frazionato” magari potevano risparmiarsela, no?

Beach House cop 1Depression Cherry
(Bella Union)
Sarà perché ho vissuto in diretta prima nascita e crescita della 4AD e poi l’esplosione dello shoegazing, ma il fenomeno dream-pop che da una decina di anni esalta la generazione indie mi ha sempre lasciato tiepidino. Nulla da eccepire, in linea di principio, sul valore estetico della musica e sul fascino della sua avvolgente persuasività, ma dopo avere ascoltato a lungo, negli anni ’80, i dischi di – due esempi fra i tanti possibili – This Mortal Coil e Lush, qualsiasi artista affine fa pensare alla minestra riscaldata, e poco o nulla conta che sia presentata in un bel piatto, servita alla giusta temperatura e arricchita di ulteriori spezie.
Al quinto album dal 2006, gli americani Beach House sono la compagine dream-pop più “classica” che si possa immaginare: organico a due composto da un ragazzo e una ragazza, stile morbido e lievemente fosco costruito su tappeti di tastiere, chitarra evocativa e cadenze elettroniche, voce (femminile, ovvio) che ricama melodie fra il solenne e il confidenziale. Le loro canzoni, comunque, hanno cuore, e non alimentano il sospetto di essere scaturite da un improbabile – ma chissà, magari esiste pure – “generatore di brani dream pop”; meno che mai in Depression Cherry, che come dichiarato dagli stessi musicisti si riallaccia soprattutto ai primi lavori pre-successo, prendendo in parte le distanze dalla maggiore complessità di Teen Dream e Bloom, le ultime due prove susseguenti al contratto (negli Stati Uniti) con la Sub Pop. Questione di sfumature, però, dato che Victoria Legrand e Alex Scally rimangono fedeli alla loro formula aggraziata, raffinata e piacevolmente narcotica dove la perfezione delle strutture sonore e il magnetismo delle atmosfere non fanno pesare più di tanto la sostanziale ripetitività del modulo e l’assenza di momenti un po’ più dinamici. Del resto, se fosse agitato, che razza di sogno sarebbe?
Tratto da AudioReview n.366 dell’agosto 2015

Beach House cop 2Thank You Lucky Stars
(Bella Union)
Non è certo la prima volta che qualcuno pubblica due album contemporaneamente o quasi, ma, ecco, certi capriccetti si accettano di buon grado da artisti (di solito) famosi che non vogliono soffocare una reale esuberanza creativa, o che sentono la necessità di mostrare, nello stesso momento, due volti differenti. Nessuno dei due è però il caso dei Beach House, duo americano di Baltimora che da inizio decennio sta ottenendo notevoli riscontri di critica e pubblico nei panni di alfiere del cosiddetto dream pop; a grandi linee, ciò che l’etichetta londinese 4AD proponeva già nei primi anni ’80, seppure per una platea più ristretta di cultori.
Sesto capitolo di una vicenda avviata ufficialmente un po’ in sordina con l’omonimo esordio del 2006, Thank You Lucky Stars segue di due mesi scarsi il Depression Cherry del quale sembra a tutti gli effetti una seconda parte. Non si comprendono, dunque, i criteri artistici – diversamente da quelli commerciali e/o legati alla ricerca dell’attenzione mediatica – che hanno portato la cantante Victoria Legrand e il chitarrista Alex Scally, entrambi pure tastieristi, alla divisione in due di quella che andrebbe considerata un’opera unica. Non sarebbe stato meglio un doppio? Concettualmente sì, ma forse i ragazzi hanno capito che, tutti assieme, i quasi novanta minuti di sonorità diafane, avvolgenti e ben congegnate, ma anche parecchio ripetitive, della coppia di dischi sarebbero stati piuttosto pesantucci. A proposito di Thank You Lucky Stars si deve pertanto ribadire quanto già affermato ad agosto commentando Depression Cherry: bello e suggestivo, benché troppo prevedibile. E assegnando un voto più basso, perché la reiterazione delle criticità, unita al fulmineo e pretestuoso raddoppio, non vanno premiati. I fan non saranno d’accordo, ma ce ne faremo una ragione.
Tratto da AudioReview n.370 del dicembre 2015

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4 pensieri su “Beach House (2015)

  1. In linea di massima mi trovo parecchio d’accordo su tutto. Al tempo neanche io non ho capito a pieno la ragione di questa doppia uscita e la reticenza del duo – unita alla cripticità che amano ostentare – a spiegare a fondo la questione non ha di certo aiutato.

    Mi permetto una sola considerazione sul giudizio che dai sul ‘dream-pop’. Tutto vero, la 4AD, gli anni ’80 e compagnia ma per chi negli ottanta (o novanta) ci è nato oggi i BH così come altri possono rappresentare non dico una novità assoluta ma qualcosa di emotivamente ‘diverso’, distaccato, per ovvi motivi tra cui quel gusto retro vellutato e un po’ lo-fi che spesso si portano dietro. Al netto del chi imita chi l’aspetto emozionale, soprattutto se tendente al raffinato, non è mai da sottovalutare o giudicare troppo duramente, secondo me.

    • Infatti non mi pare di avere espresso giudizi duri… si parla sempre di una band ispirata, preparata, con un suo mondo e con tanti motivi per piacere. Però talune esaltazioni mi paiono eccessive, tutto qui. 🙂

      • No ma sulle esaltazioni di un certo tipo hai perfettamente ragione. Non voleva essere una critica a questo, forse mi sono espresso male io.
        Comunque grazie per la risposta. 🙂

      • Tranquillo, anche la mia risposta poteva sembrare “ruvida”, ma non voleva esserlo. Anche perché siamo d’accordo su tutto.

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