Dodici anni fa, grossomodo di questi tempi, ebbi l‘idea di dedicare uno dei classici elenchi dei “100 album” di Extra a titoli sconsigliati invece che consigliati; dischi, insomma, che ogni appassionato di rock e dintorni avrebbe fatto meglio a evitare. Naturalmente, lo spirito era in linea di massima ludico e le schede dovevano essere più esagerate possibile, perché l’obiettivo primario era schernire… senza, però, inventarsi nulla, ma solo interpretando una serie di fatti reali alla luce di una visione di parte. Mi consultai così con il mio staff – in primis Eddy Cilìa, Carlo Bordone e Gianluca Testani, quindi Alessandro Besselva Averame, Luca Bonavia, Aurelio Pasini e John Vignola (fra i partecipanti al pezzo era citato anche Max Stèfani, che però non scrisse una sola riga né diede suggerimenti) – e ne venimmo fuori con la famigerata lista che mise tutti d‘accordo, anche se ciascuno di noi ebbe comunque qualcosa da ridire su qualche inclusione e qualche assenza.
Adesso, dopo alcuni “assaggi” su questo blog e in quello di Eddy, l‘oltraggioso articolo approda integralmente alla Rete, suddiviso fra tre blog (i due suddetti più quello di Carlo), grazie a Gianluca, Alessandro, Luca, Aurelio e John che hanno consentito la pubblicazione dei loro contributi. In questa pagina de L‘ultima Thule è riportato l‘articolo introduttivo (che va assolutamente letto), in un‘altra le schede, eccetto tre mie e tutte quelle di Eddy e Carlo (alle quali si giunge, però, cliccando sugli appositi link). Io avrei voluto che fosse un regalo di natale, ma Eddy ha giustamente osservato che, considerato l‘argomento, era meglio la Befana. Non è forse lei a portare il carbone?
Questa volta, dobbiamo ammetterlo, il gioco che stiamo portando avanti da ormai oltre due anni ci ha preso un po’ la mano. E, forse, abbiamo anche esagerato, andando a toccare un argomento assai spinoso. Più che mai in quest’occasione, dunque, vi preghiamo di accogliere questo nono capitolo delle nostre discografie “ideali” con serenità e con la giusta dose di ironia, evitando di dare in escandescenze: siamo infatti convintissimi che l’investimento effettuato per l’eventuale acquisto degli album qui elencati e commentati sia stato a dir poco fallimentare, e che se questi cento titoli non fossero mai usciti il rock – come sempre, in senso lato – non solo non avrebbe perso alcunché ma ci avrebbe anzi sensibilmente guadagnato. Prima di inviarci e-mail offesi/costernati/furiosi a causa dell’inserimento di qualche vostro beniamino nella lista dei paria, però, contate fino a dieci e provate quantomeno a riconoscerci il coraggio di portare avanti le nostre idee incuranti delle numerose controindicazioni, e soprattutto l’audacia di avervi proposto un articolo del tutto diverso – nei presupposti e nello sviluppo – da qualsiasi altro nel quale vi siete imbattuti. Pensateci bene, dove altro vi è mai capitato di trovare una sequenza di ben trentuno pagine dedicata solo a dischi brutti?
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Non nascondiamoci dietro un dito, e non vergogniamocene: tutti noi, nella nostra breve o lunga carriera di appassionati di musica, abbiamo subito qualche solenne fregatura. Sì, l’album che abbiamo comprato fidandoci del blasone, della recensione del critico sprovveduto (o anche esperto: ogni armadio contiene i suoi scheletri), della pubblicità ingannevole, del brano sentito alla radio, del consiglio di chissà chi, persino della copertina accattivante. È successo, e senza dubbio accadrà ancora. Taluni, per non ridestare il bruciore del disappunto, si liberano dell’acquisto rifilandolo a un amico (che da quel momento ha buone possibilità di non rimanere tale); altri lo conservano comunque nella loro collezione, un po’ per feticismo e un po’ per riluttanza ad ammettere la sconsideratezza del proprio atto; altri ancora, infine, non si rendono conto dell’errore commesso e arrivano a ostentarlo come una preziosa reliquia, collocandolo a fianco di una lunga fila di altri obbrobri. Per carità, il gusto non si discute, ma siamo convinti che in ogni ambito artistico – e quindi anche nel rock e zone limitrofe – sia possibile individuare una serie di punti fermi, nel bene e nel male. E dato che finora la nostra attenzione si era concentrata solo su pietre miliari più o meno universalmente riconosciute, perché mai non avremmo dovuto provare a “sporcarci le mani” affondandole nello stagno maleodorante della fuffa? Solo per amore del quieto vivere? Solo per onorare quella legge non scritta che autorizza le stroncature feroci delle novità ma che quando c’è di mezzo la prospettiva storica tende spesso – in particolare per i nomi altisonanti – a una rispettosa indulgenza?
Senza ripensamenti, abbiamo così imboccato la strada dell’iconoclastia ragionata e abbiamo passato in rassegna centinaia di discografie, scavato nei ricordi, riascoltato tante (troppe) atrocità e consultato conoscenti coprofili, stendendo poi il famigerato elenco dei cento: un elenco che non risparmia i santi e neppure i fanti ma che si astiene dallo – come si suol dire – sparare sulla croce rossa. Inutile, insomma, cercare di scovarvi esponenti del più becero pop di consumo, dai Backstreet Boys a Shakira fino a Gigi D’Alessio, perché fuori tema: checché possano dirne i mass media generici, per i quali decibel, ritmo e chitarre sono automaticamente sinonimo di rock, tali fenomeni non hanno spazio nel nostro mondo. E qui, per tentare di placare le solite grida di sdegno di quanti riterranno alcune nostre posizioni sballate e irriguardose se non blasfeme, sarà magari il caso di spiegarci meglio sul senso da noi attribuito al termine “disco da evitare”, sottolineando per l’ennesima volta la natura ludica – più che mai in questa circostanza – della serie di articoli sui “100 album” che portiamo avanti dal primo Extra. Perché senza un pizzico di ironia il rock’n’roll, come del resto la vita in genere, diventa qualcosa di davvero triste.
Allora… In primis, abbiamo preso in esame i repertori dei cosiddetti mostri sacri, appuntando scrupolosamente sul taccuino quelli che sono di norma reputati loro passi falsi: la pratica ci ha dolorosamente insegnato che chiamarsi Bob Dylan, Lou Reed, Rolling Stones, Leonard Cohen, Bruce Springsteen, U2 o Clash non basta a porre in salvo dalla cantonata, che risulta ancor più clamorosa quando viene proposta da personaggi di così alto profilo; personaggi che, incappando in qualche progetto poco lucido o addirittura delirante, in un periodo scarsamente ispirato, in scelte di produzione avventate o nei capricci del proprio ego, mettono in luce la loro fallibilità e si rivelano dunque più umani. Tralasciando volutamente artisti troppo sotterranei e lavori oscuri, e andando ad attingere nel vasto e profondo serbatoio della musica di norma nota a ogni attento estimatore di rock, abbiamo poi pescato nel mare magnum di tutti i nostri gruppi e solisti preferiti di grande e media popolarità, trovandoci nella rete cocenti delusioni offerteci da next big thing risultate in realtà small e da eroi di culto caduti in preda di curiosi abbagli, da nobili gradualmente o improvvisamente decaduti e da geni accecati dalla sregolatezza. Ci siamo divertiti un mondo, infine, a selezionare un paio di decine di titoli tradizionalmente etichettati come rock ma che dalla nostra concezione del rock sono maledettamente lontani: per lo più dischi osannati dalle folle e venduti in quantità industriali, ma che a noi non piacciono affatto o che ci fanno addirittura schifo. Un criterio, quindi, soggettivo più che oggettivo, che dovrebbe in qualche misura porci al riparo dagli strali di quanti non tollerano peccati di lesa maestà nei confronti dei loro idoli: assumendoci le responsabilità del caso, abbiamo tutto il diritto di confessare – motivandole, per di più – le nostre insofferenze e idiosincrasie, anche se esse non derivano completamente da analisi di carattere critico ma sono causate anche da considerazioni di estetica e attitudine musicale sulle quali non è detto che si debba essere tutti d’accordo. Anzi, forse gli strani siamo noi (e, presumibilmente, la stragrande maggioranza di voi che ci leggete), perché Comes Alive! di Peter Frampton, Out Of The Blue della Electric Light Orchestra o Breakfast In America dei Supertramp – per limitarci a tre esempi tra i più eclatanti – risuonano nei salotti e nelle auto di milioni di persone di mezzo mondo, mentre nelle nostre case (ammesso che ci siano) hanno collocazione nello scaffale più alto o più nascosto. La loro citazione in questa sede sta comunque a significare che persino noi inguaribili “snob” riconosciamo loro un qualche tipo di valore nell’epopea del rock (che, poi, avremmo preferito che non fossero mai stati incisi, è naturalmente tutta un’altra faccenda). Non vorremmo però che queste pagine fossero superficialmente bollate come una sorta di attacco “a priori” verso un approccio rock da noi non condiviso: sappiamo di essere stati un tantino di parte, ma sarebbe ingiusto non rilevare come ci siamo impegnati nel bandire eccessi di accanimento e provocazioni gratuite. Per capirci, non abbiamo inflazionato la lista di album di progressive, di rock tronfio e segaiolo o di metal deteriore, né vi abbiamo sempre inserito i lavori che gli aficionados di questo o quell’artista vedono come intoccabili monumenti. Fateci caso: in rappresentanza dei Queen non c’è certo A Night At The Opera, così come degli Emerson, Lake & Palmer non c’è il debutto omonimo o degli Yes non c’è Fragile.
Ecco, questo è quanto. Attendiamo dunque il vostro verdetto, convinti di non aver peccato di faziosità e di essere stati sostanzialmente equi, ma anche consapevoli di aver voluto attraversare un terreno minato: una considerazione, quest’ultima, suffragata dal fatto che nessuno di noi ricorda di aver mai visto, sulla stampa nazionale o estera, un articolo come questo. Sono i nostri colleghi codardi, poveri di sense of humour o privi di fantasia, o siamo invece noi a essere insolenti, arroganti e – perché no? – un tantino stronzi? Ai posteri l’ardua sentenza. Nel frattempo, buona lettura.
Istruzioni per l’uso
A mo’ di complemento alle osservazioni generali dell’introduzione, è come sempre il caso di esporre in maniera più sintetica e senza troppi giri di parole le principali regole del nostro “gioco”, concentrando l’attenzione sugli aspetti, diciamo così, tecnici.
Iniziamo allora specificando che “100 album da evitare” non è sinonimo di “i 100 album più da evitare”: siamo del tutto consapevoli che esistano dischi peggiori di alcuni di quelli da noi indicati, ma il nostro intento non era stilare un’improbabile lista di abomini assoluti. Piuttosto, ci premeva mettere in evidenza cento titoli dai quali, secondo noi, si può (si deve?) tranquillamente fare a meno, o perché di gran lunga inferiori agli standard medi degli artisti che li hanno firmati o perché non in linea con i nostri gusti e le nostre inclinazioni in fatto di rock.
Anche in questa occasione abbiamo voluto uniformarci al criterio della rappresentatività, cercando un accettabile equilibrio tra “generi” presi in considerazione – più rock in senso abbastanza stretto che non aree stilistiche a esso tangenti – e decenni. Troverete dunque uscite degli anni ‘60 (pochissimi, però, a confermare quella supremazia qualitativa dei Sixties che nessuno osa mettere in discussione), ‘70, ‘80 e ‘90 (come nei precedenti articoli di questa serie, il 2000 costituisce limite da non valicare), scelte soprattutto nell’ambito del rock “classico”, della canzone d’autore, del progressive, dell’hard e del rock ibridato con le più diverse radici. Da notare che per la prima volta, per complicarci ancor più la vita, abbiamo abbattuto ogni barriera geografica e inserito assieme agli stranieri un ristretto numero di album italiani: perché mai, ci siamo detti, privarci della gioia di essere insultati e/o odiati non solo dagli appassionati più intolleranti ma anche da qualche musicista?
Di ogni solista o gruppo presente in elenco abbiamo scelto di segnalare – senza eccezioni – un unico titolo: non ci piaceva l’idea di “infierire” su chicchessia e abbiamo ritenuto che un più ampio assortimento di nomi avrebbe reso il tutto maggiormente interessante. Abbiamo inoltre optato per l’esclusione delle raccolte di autori vari e delle antologie (logico: vi risulta che sul mercato siano disponibili Worst of…?), mentre non ci sono state discriminazioni tra lavori in studio e dal vivo.
Infine, una precisazione forse meno scontata di quanto possa sembrare: in questa circostanza, l’ormai tradizionale divisione dei “cento” in tre fasce – “i primi venti”, “gli altri trenta”, “gli ultimi cinquanta” – è stata applicata in modo opposto. Se “i primi venti” erano abitualmente i dischi più imprescindibili, qui sono invece i più prescindibili, così come “gli altri trenta” sono quelli sempre da sfuggire come la peste ma appena meno spaventosi e “gli ultimi cinquanta” quelli che – pur dovendo essere ascoltati (solo sotto la minaccia delle armi, va da sè) tenendo a portata di mano l’antiemetico – provocano sofferenze più tollerabili. E con ciò non resta che terminare, non prima di aver però avvertito che la lettura delle pagine che seguono è altamente sconsigliata agli iracondi, ai poco spiritosi e in generale a quelli che prendono troppo sul serio le (pur serissime) faccende musicali. Uomo avvisato…
Tratto da Mucchio Extra n.9 della Primavera 2003
Mi riferisco alla scheda introduttiva,comunque sia w la musica.Ciao Guglielmo e buon anno!
Uno avrebbe salvato l’omonimo per via di Lucky Man : io non la sopporto e quanto a ballads preferisco From The Beginning. Il primo fu fascinoso per tutt’altro e Pictures, vocalizzazione a parte, fu per me attraente non dico quanto le operazioni eleganti e discrete di W.Carlos ma quanto quelle di Rick Van der Linden ed altre che oggi non mi vengon in mente, sì decisamente sì, comunque superiori a prec. operazioni Nice. Tarkus gustoso ed all’epoca superlativo, solo per la suite e Trilogy altrettanto, solo per la suddetta ballad e l’Endless Enigma (con la fuga in mezzo) che considero una delle tracks migliori della storia della Musica Rock pop beat soul blues country eccetera insomma “Questione di gusti” appunto,
“senso dell’ironia”, “inclinazioni” (un altro massacra i Gentle Giant, probabilmente solo perchè è un pervertito musichessuale)
Seondo mè l’ironia è superata abbondantemente dalla mancanza di rispetto….come si può dire che chi hà uno o più dischi di questa lista hà buttato i propri soldi? poi il resto è tutto discutibile,molto discutibile…..secodo mè chi legge questa lista butta il suo tempo!
Uno dei 100 articoli da evitare a quanto pare
Perché no? Questione di gusti, inclinazioni, senso dell‘ironia.
Ad esempio io ho sempre adorato i quadri di un’esposizione fatti da EL&P. Altri dischi che salverei sono “Breakfast in America” e “Days of future passed” anche se conosco l’allergia ai Moodies del Mucchio (il meno a fuoco dei sette “classici” comunque)…anche “M.I.U. Album” dei Beach Boys si lascia sentire. Non è “Pet Souds ” e neppure “Holland” (l’ultimo capolavoro IMHO), ma come airplay mentre si fanno le pulizie in casa può andar bene.