Qualcuno avrà stappato lo champagne, alla recentissima notizia dello scioglimento dei Mars Volta. Non io, che per la controversa band americana nata dalle ceneri degli At The Drive-In ho provato, dopo le iniziali titubanze, sempre notevole ammirazione, pur rendendomi conto della legittimità dei ragionamenti di quanti l’hanno sempre reputata più o meno insopportabile. Per l’uscita di The Bedlam In Goliath, però, non volli preoccuparmi dell’eventuale dissenso e feci in modo che finissero sulla copertina del Mucchio.
Spettroscopia
Tutto era partito con l’idea di intervistare a Milano i musicisti che reggono le fila dei Mars Volta, Omar Rodriguez-Lopez e il cantante Cedric Bixler-Zavala. La sopraggiunta impraticabilità dell’ipotesi ci aveva quindi spinti verso un incontro da qualche parte in Europa, anch’esso sfumato e convertito in due distinte chiacchierate telefoniche… poi diventate una sola. Costretti a scegliere tra l’uno e l’altro abbiamo puntato su Omar, chiedendo almeno mezz’ora di disponibilità… che sembrava essere stata decurtata di un terzo. Alla fine i minuti di conversazione sono stati ben quaranta, seppure con un giorno di ritardo sulla schedule perché, la sera dell’appuntamento, la chiamata dalla California è stata spostata in avanti di mezz’ora in mezz’ora per tre volte, fino al rinvio all’indomani. Insomma, una piccola odissea.
La fumata bianca, quando ormai si comincia a perdere la fiducia, arriva alle 19 e 40 di giovedì 6 dicembre: dall’apparecchio la voce di Omar è forte e chiara, consentendo di gustare ogni sfumatura di un eloquio rapido, spesso e ricco di stacchi, proprio come la musica della compagine americana. Inutile sprecare tempo prezioso domandando lumi sul concept dietro The Bedlam In Goliath: tutto il delirio mistico-spiritico a base di strani eventi, visioni e tavola Ouija è “spiegato” nel sito ufficiale, e allora perché rischiare confusioni? Molto meglio parlare di musica, di dinamiche interne e di attitudini, temi sui quali il nostro interlocutore si rivela – ma non c’erano dubbi – preparatissimo.
In termini di stile musicale, in che modo il nuovo album segna un altro passo nell’evoluzione dei Mars Volta?
Uh… è una domanda difficile! Sono troppo coinvolto e tutto è troppo recente, equivale a chiedermi “come sei cambiato nell’ultimo anno?”. So di essere orgoglioso ed entusiasta del disco: credo che costituisca un progresso nel nostro percorso, ma faccio fatica a entrare nei dettagli.
Ok, allora provo a restringere il campo: The Bedlam In Goliath è stato progettato con meticolosità, magari con un metodo diverso dai precedenti, o è semplicemente venuto fuori così?
Entrambe le cose: la nostra musica nasce sempre in modo spontaneo, ma quando si tratta di concepire un disco è ovvio che si ragioni un po’ sul modo migliore di articolarla. L’obiettivo di base, comunque, è sempre il solito: rimanere se stessi, ma cambiando. Inevitabilmente, come gruppo, siamo legati a un certo tipo di sound: io compongo le musiche alla mia maniera e Cedric scrive i testi in modo piuttosto particolare, così come particolare è il suo approccio al canto. Ogni volta, rispettando la nostra indole e i nostri gusti, cerchiamo dunque di fuggire dal rischio di ripeterci comportato dalla nostra pronunciata personalità. Amputechture è più avvolgente e dilatato, con note discendenti, pochi accordi e melodie che si evolvono lentamente? Perfetto, il suo successore doveva essere il contrario: pezzi brevi, più accordi, concisione e compattezza.
Insomma, vi sforzate di bilanciare istinto e raziocinio: ma qual è il criterio per capire se i risultati sono “giusti” o “sbagliati”?
Se sentiamo eccitazione, feeling, significa che la scelta è valida, ma se non avvertiamo queste sensazioni vuol dire che non si è ancora arrivati dove si doveva e bisogna continuare a cercare la propria via. È un po’ come con una donna: te ne accorgi a pelle se con lei potresti avere una relazione importante, con un forte coinvolgimento sentimentale, o solo una conversazione piacevole o una storia di sesso.
In pratica stai ammettendo che l’istinto “pesa” di più.
Assolutamente sì. Tolto il discorso di fondo della differenziazione da quello che abbiamo fatto in passato, arriverei addirittura a dire che, nella musica, i ragionamenti e le intellettualizzazioni sono il nemico.
Eppure, di fronte al vostro stile così ricco e articolato, sembra strano pensare che non abbiate lavorato tantissimo con il cervello.
Ti assicuro che non cerco affatto di essere complicato: la mia musica è solo un’estensione della mia personalità. E se stai per ribattere che a essere complicata, allora, dev’essere la mia personalità, sappi che mi ritengo un tipo assolutamente normale, benché con un ampio spettro di emozioni. Ci sono giorni in cui vivi tutto come una sfida, altri in cui sei arrabbiatissimo senza sapere perché, altri ancora in cui sei sereno o addirittura felice, e la mia musica riflette la convivenza e l’alternanza di questi umori. Non è unidimensionale, ad esempio, come certo pop, che vuole solo indurre alla spensieratezza.
Ecco, il pop: che relazione hanno, i Mars Volta, con esso?
Il pop convenzionalmente inteso mostra solo un aspetto della vita: quello gioioso, leggero, magari superficiale. Noi ci muoviamo in un territorio espressivo molto più ampio, ma il formato è pop: adottiamo strutture con intro, outro, bridge, strofe, ritornelli. Ok, ci sono pure un bel tot di perversioni sonore, ma tutte le canzoni di ogni nostro disco posseggono precisi legami con il formato pop.
A questo punto cancello la prossima domanda, a proposito delle maggiori inclinazioni jazzy e dell’incremento di certa epicità filo-prog che mi è parso di riscontrare in The Bedlam In Goliath.
Ma no… è solo che sul serio, almeno adesso, ho problemi ad analizzare e scomporre in elementi quello che abbiamo realizzato. Ma sono sempre lieto di ricevere interpretazioni del mio lavoro da parte di chi la musica la ascolta sul serio e non come sottofondo. E poi, a freddo, mi accorgo che qualcuno aveva anche interpretato bene, e magari colgo aspetti che non avevo inquadrato.
Ti soddisfa che determinati passaggi paiano frutto di improvvisazione?
Certo! Oltre all’ispirazione pura e istintiva dietro la nostra musica c’è un notevole sforzo di assemblaggio delle varie parti, e se il risultato appare fluido, come fosse scaturito da uno spontaneo moto emotivo, vuol dire che abbiamo fatto un buon lavoro.
E si può affermare che il nuovo album sia più incentrato sulla “canzone”?
Suppongo di sì, ma non era stato fissato in partenza: ci siamo arrivati attraverso il nostro abituale tentativo di allontanarci da quanto fatto precedentemente. Del resto abbiamo scritto brani da un quarto d’ora e persino da mezz’ora, perché non avremmo dovuto orientarci su qualcosa di più conciso e denso? Siamo partiti dalle solite idee e siamo finiti a svilupparle in qualcos’altro. Cosa sia venuto fuori lo abbiamo scoperto solo dopo: anzi, non lo abbiamo ancora scoperto del tutto.
Mi sembra che Amputechture non sia stato apprezzato, o compreso, come De-Loused In The Comatorium e Frances The Mute. Condividi tale impressione, e secondo te per quale motivo è accaduto?
Penso che sia successo perché è un disco speciale, una pietra miliare nel nostro cammino creativo. Sì, in effetti ho riscontrato un atteggiamento meno positivo, ma da qui a capire il perché… forse c’entra il discorso del nostro cambiamento, magari qualcuno criticherà The Bedlam In Goliath perché è ancora diverso. In sostanza, credo sia una questione di gusti individuali: non mi pare che in Amputechture, rispetto al resto della nostra produzione, ci sia qualcosa di oggettivamente contestabile.
Mi è capitato di leggere tue interviste nelle quali, parlando dei Mars Volta, li colleghi a esperienze cinematografiche e non musicali. Per te il concetto di musica va oltre il solo suono?
Naturalmente: è qualcosa che è pure visuale, data la sua capacità di proiettare immagini nella mente di chi la ascolta. E inoltre è genuina emozione umana, sensualità: una realtà su più livelli e non “piatta” come molti, per ottenere facilmente popolarità e denaro, la avviliscono. C’è invece sempre bisogno di più opzioni, di ampliamenti delle prospettive: è un delitto che tanti cerchino di incasellare ogni cosa, di chiuderla in una scatola con sopra una targhetta.
Un approccio, direi, psichedelico.
Già. Io voglio vedere e sentire tutto quello che la musica può offrirmi, non voglio essere limitato: è una questione di espressività quanto più possibile totale. Prendi Pasolini: era uno scrittore di fama ma non si è voluto fermare lì e ha provato a tradurre la sua letteratura in cinema, perché nelle sue storie c’erano idee e messaggi che andavano al di là di quelli che si potevano evocare con la parola scritta.
Pasolini è uno dei tanti riferimenti alla cultura del mio paese, sia contemporanea che antica, ricorrenti nelle vostre interviste e non solo. Nutrite un interesse particolare per questa porzione di mondo così distante dal vostro?
Ovvio: la riconosciamo come collegata a quella cultura latina che è la nostra cultura. In Italia mi sento a casa, è come stare a Portorico: la gente si saluta con calore, la lingua somiglia allo spagnolo e quindi si può comunicare con facilità. Senza contare il fascino della storia, che da voi si respira in ogni angolo.
Come gruppo americano siete abbastanza atipici: anzi, per parecchi versi potreste tranquillamente essere europei.
Credo che sia perché, come band, ci ispiriamo alla cultura, una cosa che qui negli Stati Uniti è carente: non è casuale che in Europa siamo stati notati e apprezzati prima che da noi. Con questo non voglio dire che non siamo americanizzati, abbiamo assorbito molti elementi tipici del posto in cui viviamo, ma c’è un equilibrio: non abbiamo annullato quello che siamo per piegarci a un’identità non nostra, non vogliamo uniformarci alla non-cultura di massa che che domina negli USA. Noi combattiamo contro questa logica: ricordiamo i genitori, utilizziamo entrambi i cognomi, parliamo e all’occorrenza cantiamo nella nostra lingua originaria e attingiamo spunto da quel che riconosciamo come nostro patrimonio anche vivendo in Nordamerica. Quando le cerchi, le radici sono sempre lì, nella terra, e le nostre sono Portorico, Messico, Africa.
Pensi che sulla tua apertura mentale abbiano influito i tuoi frequenti viaggi?
Certo, viaggio vuol dire conoscenza e comunicazione. Ma non tutti la vodono così: per esempio Jim, il chitarrista bianco degli At The Drive-In, odiava le differenze culturali, criticava tutto, non sopportava il non essere capito parlando in inglese e allora, invece di cercare un altro sistema per spiegarsi, alzava la voce… come se questo potesse servire. Parecchio imbarazzante, per noi altri.
È una sorta di inconsapevole arroganza tipica di molti americani.
E purtroppo anche di molte band nostre connazionali. Ce ne rendiamo conto quando le incontriamo in qualche festival: il comportamento più diffuso è proprio questo.
La relazione professionale e personale fra te e Cedric dev’essere davvero singolare. Come funziona l’alchimia?
Siamo cresciuti assieme, siamo diventati uomini assieme e facciamo musica assieme da ormai quindici anni. Assieme abbiamo vissuto tutte le tappe più importanti della nostra vita, abbiamo trovato e perso i nostri amori e visto morire nostri amici, abbiamo avuto successo assieme. La nostra partnership artistica è ovviamente influenzata da tutto ciò: siamo come una coppia, solo che il nostro sesso è la musica!
Restando nella metafora, spesso le coppie scoppiano: potrebbe capitare anche a voi, lo hai messo in preventivo?
Sì. Infatti proprio per questo entrambi ci impegnamo al massimo affinché la nostra relazione sia sempre dinamica e interessante, cercando di non fossilizzarci sulle stesse cose e provando a farne di nuove.
E tu di cose nuove ne fai tante pure fuori dai Mars Volta, come i dischi – a tuo nome e con altri – usciti negli ultimi mesi. Addirittura troppi, direi.
Non sto cercando di provare qualcosa a me stesso o a chiunque altro, né devo convincere nessuno: faccio quel che faccio perché devo farlo, perché la mia ispirazione mi obbliga. Creare è la mia gioia e nei miei dischi si rispecchiano la mia vita e le mie esperienze in modo mai forzato. Parlare di troppi dischi è come accusarmi di vivere troppo.
Ma qual è la differenza tra i tuoi lavori “paralleli” e quelli dei Mars Volta?
Che per questi ultimi ho a disposizione un budget consistente, mentre per gli altri mi devo arrangiare. Sono dischi che non vendono granché e che non raccolgono tante attenzioni, ma sono lo stesso importanti: non fosse altro perché mi consentono di sperimentare in studio di registrazione e di acquisire ulteriori esperienze che tornano utili ai Mars Volta. Perché è per loro che conservo le intuizioni che ritengo più valide.
Non avevi in preparazione anche un documentario sulla storia del gruppo?
È un continuo work in progress del quale non vedo la fine. Ogni mese dico a me stesso “ok, mi fermo qui”, ma poi continuano ad accadere cose che mi sembra assurdo lasciar fuori. Comunque è una cosa che in effetti dovrei decidermi a chiudere presto: sto accumulando materiale su materiale e rischio seriamente di non raccapezzarmici più.
In una delle vostre ultime foto promozionali non ci siete soltanto tu e Cedric ma tutta la band. Da “duo” con collaboratori più o meno stabili i Mars Volta si sono allargati?
No, rimangono una faccenda a due, ma con l’ingaggio del nuovo batterista abbiamo finalmente raggiunto un equilibrio soddisfacente: prima mancava sempre almeno un elemento, mentre ora siamo un nucleo più coeso. Abbiamo voluto mostrare in una foto che famiglia bella e felice siamo.
E invece, parlando di mercato, cosa ne pensi della trovata dei Radiohead di regalare i file del loro nuovo lavoro?
Detto che sostanzialmente delle questioni di business mi importa poco, ho sempre ritenuto che regalare un album tramite Internet sia un ottimo modo per ringraziare il proprio pubblico. Noi non siamo mai stati infastiditi dal fatto che si “rubi” la nostra musica scaricandola illegalmente dalla Rete: la nostra sovravvivenza non deriva certo dagli introiti dei dischi bensì dai tour e da tutto l’indotto che ruota attorno ad essi. I dischi sono un documento, fissano un attimo, ma sono solo una parte della vita creativa di un artista: l’autentica essenza di una band è nei concerti, nella splendida sensazione che si prova esibendosi in un locale mentre ci si emoziona assieme alla platea. È lì che si mettono d’accordo la vecchia generazione – quella che compra e sempre comprerà CD o vinile perché affezionata al supporto – e la nuova, che si limita al download. La sola cosa che mi dispiace, rispetto a quest’ultima, è il fenomeno della circolazione di file di scarsa qualità ancor prima che il nuovo disco sia uscito: dato che mi impegno maledettamente per dare alle mie canzoni una determinata qualità sonora, mi sembra folle che molti ascoltino porcherie solo perché hanno fretta. Aspettino l’uscita, aspettino la versione reale del disco, e poi la “rubino” pure.
Immagino che alla Universal non siano molto d’accordo con questa vostra filosofia. Vi trovate a vostro agio, a essere legati a una major?
Sì, perché è un rapporto di solo business: noi ci limitiamo a fornire un disco nei tempi stabiliti e a collaborare alle attività promozionali, la Universal provvede a stamparlo, distribuirlo e pagarci le percentuali sul venduto. Non subiamo pressioni né tantomeno interventi artistici: abbiamo il controllo totale e il nostro rapporto è nulla più che burocratico. Una cosa molto semplice, lineare.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.642 del gennaio 2008
Sarebbe interessante da leggere, credo sia uscita che il Mucchio era ancora settimanale, no? Grazie per il post e per la risposta.
Possibile che prima poi faccia un post “multiplo” tipo “Indiesfiga”, con qualche recensione che oggi scriverei un po’ diversamente.
Peccato si siano sciolti, ho dato un ascolto ai nuovi progetti messi in piedi da omar rodriguez e cedric blixer, rispettivamente bosnian rainbows e zavalaz, li hai ascoltati?
Una curiosità: è vero che all’uscità di deloused la band fu stroncata sul mucchio e proprio da te? Dalle poche cose lette nell’archivio del mucchio forum, stroncata pure in un oltre le stelle di allora, c’è modo di leggere quelle recensioni?
“Stroncato” è un po’ troppo. È vero che scrissi che molto difficilmente l’avrei riascoltato “per piacere”, ma non lo definii una porcheria e misi in risalto gli aspetti positivi. Continuo a pensare che dopo abbiano fatto cose migliori, ma credo che quella recensione avrebbe potuto essere più indulgente, via. 🙂
Possibile che la ritiri fuori, sì.
Li ho adorati, visti in giro per l’Europa molte volte. Da Bedlam in poi sono calati. È giusto che abbiano smesso di lasciare.
Ehm… volevo dire che abbiamo DECISO di lasciare 🙂
L’avevo capito. 😀
Del resto, “meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”.
Siamo avidi di piacere personale, è andata così.
La ricordo benissimo l’intervista: ricordo che comprai il giornale all’epoca, da fan MALATA quale sono. Anche io sono in lutto, mi ha lasciata davvero delusa la notizia dello scioglimento. Per quante critiche possano ricevere, per me i Mars Volta sono (stati) dei grandissimi artisti!
Sono d’accordo con te. Penso che anche chi non li apprezza per nulla dovrebbe quantomeno riconoscerne le qualità tutt’altro che comuni.
Sono in lutto. E basta.
Visto il tuo nick, mi sembra comprensibile. Anch’io, comunque, sono dispiaciuto.
ricordo benissimo l’intervista. Grande gruppo, anche se troppo eterogeneo, quando non proprio altalenante. Ma forse è una cosa che riguarda solo il sottoscritto, a dire il vero, non è che ci sono tantissime band migliori di loro in giro
E purtroppo adesso non ci sono più.
federico dici unici e io dico meno male!!! pensa se ce ne fossero stati altri…:-) gruppo a mio parere pessimo e non degno di apparire sul mucchio
Posso capire che il genere non sia granché popolare (eufemismo) fra i lettori del Mucchio, ma nella loro area sono una band eccellente.
li vidi al teatro romano di ostia antica, mi sembrava di essere dentro pink floyd at pompei…suonarono due ore senza soluzione di continuità…alla fine il commento migliore mi sembrò quella di una ragazza: questi suonano al contrario. ho visto anche i zech marquise e mi sono stupito che giovani ragazzi americani suonassero una musica così.
C’ero anch’io, a quel concerto. Ne ho un bellissimo ricordo.
bella intervista e gran bel disco quello
Grazie, tutto merito di Omar. 🙂 E, sì, bel disco, anche se gli altri non sono da meno.
I dischi li ho sempre trovati un pò noiosi, anche se il primo non era male. Dal vivo però andavano visti ( li ho visti 3 volte, all’epoca tra il primo e secondo disco). A volte diventavano prolissi e pallosetti con quella voce in falsetto, ma nel complesso un’energia che spaccava. Dal vivo me li ricordo con enorme piacere.
Un gruppo, come ho anche scritto, controverso: grande carica e grandi idee, ma anche dispersività. Unici, comunque.